Come Gomorra, i carabinieri arrestati rifornivano i pusher In posa sui social con pregiudicati
Erano militari dell’Arma dei Carabinieri, ma agivano, e si esprimevano, come un gruppo criminale senza scrupoli.
Dalle 75mila conversazioni telefoniche, ambientali, messaggi che i carabinieri coinvolti nell’indagine della Guardia di Finanza di Piacenza e coordinata dalla procura, finiti agli atti, emergono particolari che raccontano il loro modo di operare: come «un’associazione a delinquere», per usare una delle loro auto-definizioni.
Uno dei sette carabinieri arrestati, in una conversazione captata in auto, ha parlato del concetto di «piramide», utilizzata per i loro affari: «In poche parole abbiamo fatto una piramide: sopra ci stiamo io, tu e lui... ok? Noi non ci possono... noi siamo irraggiungibili». Il carabiniere racconta al suo interlocutore di aver trovato una persona del giro che va dagli spacciatori della città e dice: «Guarda, da oggi in poi, se vuoi vendere la roba vendi questa qua, altrimenti non lavori. E la roba gliela diamo noi. Poi a loro volta avranno i loro spacciatori... quindi è una catena che a noi arriveranno mai».
I carabinieri arrestati pensavano quasi di vivere in un sogno o in una serie televisiva. È uno degli indagati che racconta, sempre in un’intercettazione, come uno dei carabinieri coinvolti aveva agito per farsi consegnare un’auto. «Hai presente Gomorra? Le scene di Gomorra. È stato uguale e io ci sguazzo in queste cose. Tu devi vedere gli schiaffoni che gli ha dato!».
Ma una delle immagini più incredibili nelle quali gli inquirenti si sono imbattuti è stata la foto postata sui social network da uno dei presunti spacciatori arrestati: con lui ci sono due carabinieri arrestati e un’altra persona coinvolta nell’inchiesta, mentre mostrano orgogliosamente delle banconote.
Gli inquirenti parlano di un comportamento quantomeno «inappropriato» da parte dei militari nel farsi vedere con pregiudicati e indagati per reati di droga e della «realtà quasi onirica nella quale credevano di vivere».
Nel marzo scorso, pochi giorni dopo l’istituzione del lockdown, dalla stazione di Piacenza venivano rilasciati anche dei “lasciapassare” timbrati per favorire gli spostamenti dei vari corrieri, fornitori e galoppini. «Approvvigionavano di droga gli spacciatori rimasti senza stupefacente a casa delle norme anti covid», ha detto il capo della Procura di Piacenza, Grazia Pradella. Al carabiniere che si considerava al vertice della piramide, sono stati sequestrati una villa con piscina, un’auto di grossa cilindrata, una moto e 24 conti correnti.
Uno degli aspetti più curiosi, sicuramente meno grave rispetto agli altri contestati, ma che dà comunque ancora una volta il senso della presunzione di impunità è quello che è avvenuto il giorno di Pasqua, mentre tutta Italia, e Piacenza in particolare, era sotto un ferreo lockdown: uno dei carabinieri arrestati stava facendo una grigliata in casa con gli amici, bagnata da costose bottiglie di champagne francese. I colleghi della stazione ricevono una segnalazione anonima da una vicina di casa. Gli arrestati si vantano poi fra loro di non aver dato seguito alla segnalazione. ma il carabiniere che stava facendo la grigliata va oltre: «voglio sentire la voce, voglio capire se è la mia vicina, giusto lo sfizio che mi voglio togliere...».
Intanto, la Procura Militare di Verona ha aperto un fascicolo d'indagine sugli abusi contestati al gruppo di Carabinieri in servizio presso la Caserma Levante di Piacenza.
Dalle 75mila conversazioni telefoniche, ambientali, messaggi che i carabinieri coinvolti nell'indagine della Guardia di Finanza di Piacenza e coordinata dalla procura, finiti agli atti, emergono particolari che raccontano il loro modo di operare: come "un'associazione a delinquere", per usare una delle loro auto-definizioni.
"Al momento si tratta di atti relativi al fatto", ha riferito il procuratore Militare, Stanislao Saeli, il quale ha aggiunto di aver "proceduto sulla base dei provvedimenti cautelari emessi dalla Procura della Repubblica di Piacenza, da cui sembrano già emergere estremi di reati militari. Agiamo in perfetta sintonia con i colleghi della Magistratura ordinaria per ottimizzare le attività di indagine".
La Procura militare di Verona ha competenza sui reati militari commessi nelle regioni Valle d'Aosta, Piemonte, Liguria, Lombardia, Trentino Alto-Adige, Veneto, Friuli Venezia-Giulia, Emilia-Romagna.