Regioni rosse, arancio e gialle: ecco cosa si può o non si può fare zona per zona in tutta Italia
Quattro Regioni in zona rossa, due in zona arancione, le restanti in zona gialla: il premier Giuseppe Conte, in diretta tv, elenca le tre fasce in cui l’Italia, da qui al 3 dicembre, sarà divisa a seconda del livello di rischio legato al Covid e alla tenuta sanitaria. A ciascun «colore» è affidato un pacchetto di misure ad hoc: la zona rossa, di fatto, prevede un lockdown. In tutto il Paese il coprifuoco scatta alle 22.
REGIONI ROSSE.
Sono Lombardia, Piemonte, Calabria, Valle d’Aosta. Sono in vigore, da venerdì, le misure più restrittive previste dal Dpcm.
L’uscita di casa va motivata, sono chiusi bar, ristoranti, negozi, la Dad è prevista dalla seconda media in poi. È vietato spostarsi da un Comune all’altro, nonché uscire od entrare nella Regione. Torna l’autocertificazione anche per gli spostamenti all’interno di una città.
REGIONI ARANCIONI.
Sono Puglia e Sicilia. I ristoranti e e bar restano chiusi per tutta la giornata. I negozi restano aperti. La Dad è prevista solo alle superiori. La circolazione all’interno di un Comune è permessa ma non lo è abbandonare il proprio Comune di residenza, domicilio o abitazione. È vietato entrare o uscire dalla Regione.
REGIONI GIALLE.
Sono Veneto e tutto il Trentino Alto-Adige, Friuli Venezia Giulia, Liguria, Toscana, Emilia-Romagna, Umbria, Sardegna, Marche, Molise, Abruzzo, Lazio, Campania, Basilicata. In queste Regioni vigono le misure restrittive più «morbide» previste dal Dpcm. In ristoranti e i bar sono aperti fino alle 18, i negozi restano aperti fino a orario di chiusura. I centri commerciali sono chiusi
Calabria, Lombardia, Piemonte e Valle d’Aosta zona rossa, Puglia e Sicilia in zona arancione, il resto d’Italia in zona gialla. Il premier Giuseppe Conte annuncia la divisione dell’Italia in tre aree in base alla diffusione del Covid come previsto dal nuovo Dpcm, che entrerà in vigore il 6 novembre, e difende la scelta del governo di non adottare un unico provvedimento in tutto il paese: «se lo avessimo fatto avremmo ottenuto un duplice effetto negativo, non saremo intervenuti con misure veramente efficaci dove c’è un maggior rischio e avremo imposto misure irragionevolmente restrittive dove la situazione è meno grave».
Da venerdì, dunque, le misure saranno operative: uno slittamento di 24 ore rispetto ai programmi del governo deciso per consentire a tutte le regioni di disporre «del tempo utile per organizzare le proprie attività». Ma non ci saranno passi indietro. Il ministro della Salute Roberto Speranza ha già firmato le ordinanze con i dati dell’ultimo monitoraggio e le misure resteranno in vigore, almeno per quanto riguarda le zone rosse, per «almeno due settimane». I dati relativi alle Regioni inserite nelle zone gialla e arancione saranno invece aggiornati ogni settimana e, in caso di peggioramento, ci sarà il passaggio automatico nella fascia più alta e l’applicazione di misure più restrittive.
«Dobbiamo necessariamente intervenire per rallentare la circolazione del virus» ha detto Conte illustrando il decreto, poiché i sistemi sanitari di «molte regioni rischiano di andare in sofferenza» nelle prossime settimane. Dunque le scelte sono obbligate: «non abbiamo alternative, dobbiamo affrontare queste restrizioni per raffreddare la curva». L’impianto del provvedimento è quello contenuto nelle bozze, con pochi aggiustamenti: dà la possibilità ai parrucchieri di rimanere aperti anche nelle zone rosse e ‘salvà le crociere delle navi battenti bandiera italiana. Nella ‘zona giallà - dove ci sono Abruzzo, Basilicata, Campania, Emilia Romagna, Friuli Venezia Giulia, Lazio, Liguria, Marche, Molise, Sardegna, Toscana, Veneto, Umbria e le province autonome di Trento e Bolzano - varranno le misure nazionali, dal coprifuoco alle 22 alla chiusura dei centri commerciali nei fine settimana, dallo stop a mostre e musei alla chiusura dei corner di giochi e scommesse, dalla riduzione della capienza nel traporto pubblico locale fino alla Didattica a distanza al 100% per le superiori. Nella ‘zona arancionè, quella con un rischio elevato, finiscono invece Puglia e Sicilia: non si può uscire dalla regione e sono vietati anche gli spostamenti tra i comuni mentre bar e ristoranti rimarranno chiusi tutto il giorno. «È assurdo e irragionevole» dice il governatore siciliano Nello Musumeci.
Il lockdown generale, di fatto, scatta invece per le quattro regioni con gli indici più alti, quelle dove la diffusione del virus è fuori controllo. Oltre alle misure previste per le altre zone, sono chiusi anche i negozi, salvo alimentari e farmacie e si potrà uscire solo per comprovate esigenze lavorative, di salute, necessità e per portare i bambini a scuola. «È vietato ogni spostamento in qualsiasi orario» ha spiegato Conte. «È uno schiaffo in faccia ai lombardi, non ce lo meritiamo» attacca il governatore Attilio Fontana. Con la divisione in fasce del paese torna inoltre l’autocertificazione: da venerdì, sia per circolare nelle aree con le restrizioni più dure sia per il resto d’Italia dopo le 22.
Misure «differenziate e ben mirate», come ha detto il premier, che i governatori hanno ripetutamente criticato. «Il governo si assumerà la responsabilità sanitaria e sociale conseguente alle sue scelte, sempre ritardate, e sempre parcellizzate» ha tuonato il presidente della Campania Vincenzo De Luca prima di sapere che la sua regione non sarebbe finita né in zona arancione né in quella rossa. La critica principali arrivate al governo dai presidenti è anche quella di non aver coinvolto le regioni nelle valutazioni. Accuse che Conte ha respinto. Le ordinanze non sono basate su decisioni «arbitrarie o discrezionali» perché recepiscono il monitoraggio settimanale al quale partecipano l’Istituto superiore di Sanità, il ministero della Salute e i rappresentanti degli stessi territori. Dunque, rivendica Conte le Regioni «non sono un alter ego ma parte integrante di questo monitoraggio». Il premier rifiuta anche qualunque ipotesi di accordo nel governo per mettere in difficoltà le regioni governate dal centrodestra. «I criteri sono predefiniti e oggettivi e sfuggono ad ogni contrattazione, non si negozia sulla pelle dei cittadini».
Anche il ministro per gli Affari Regionali Francesco Boccia difende il Dpcm, che «non esautora» le Regioni. Ma è evidente che dopo lo scontro - che non si è ancora spento visto che De Luca ha sfidato apertamente il governo mantenendo la decisione di lasciare tutte le scuole chiuse nonostante la sua regione sia in zona gialla - nei prossimi giorni il confronto andrà avanti e sarà necessario riuscire a ritrovare quell’unità invocata più volte dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Anche perché alla crisi prodotta dal virus si aggiunge, sempre più pesante quella economica. Il premier lo sa e infatti promette che sarà fatto «tutto il necessario» per ristorare chi non potrà lavorare. Anche chiedendo al Parlamento un nuovo scostamento di bilancio».
«Dobbiamo tenere duro».