Dai grillini il "sì" a Draghi con il voto su Rousseau, ma Di Battista lascia il MoVimento
ROMA - Il governo Draghi è più vicino. Sulla piattaforma Rousseau vince il sì: il 59,3% dei militanti 5 Stelle appoggia la linea dei vertici del Movimento a favore del nuovo esecutivo. Ora sono tutti «vincolati» a rispettare l’esito della consultazione, avverte Vito Crimi. Ma la votazione online certifica la spaccatura all’interno dei cinquestelle e la prima prova sarà il voto di fiducia in Parlamento la prossima settimana. Fuori dalle Aule parlamentari c’è però già l’addio di Alessandro Di Battista: «non posso digerire la votazione, mi faccio da parte», dice postando un video su Fb.
Da queste fibrillazioni l’esecutivo dell’ex presidente Bce è comunque al riparo: qualsiasi scelta la fronda 5s dovesse fare (che sia l’astensione o anche il voto contrario), alle Camere conta su una maggioranza molto ampia e dunque è destinato a nascere su numeri solidi.
I tempi per la formazione del governo non sono ancora definiti: Mario Draghi salirà al Colle per sciogliere la riserva entro il fine settimana, quando avrà pronta la lista dei ministri. A quel punto si terrà la cerimonia del giuramento e poi il voto nelle Aule di Camera e Senato non prima di «martedì», è il pronostico del capogruppo Pd al Senato Andrea Marcucci.
Chiuse le consultazioni e incassato l’ok della base 5 Stelle, è sulla squadra di governo che il futuro premier è impegnato. Non intende trattare nome su nome e gli unici suggerimenti che è pronto ad ascoltare sarebbero quelli del Quirinale. Che però in Consiglio dei ministri non siederanno solo tecnici è ormai una certezza. Il Pd dice di volerne rispettare le prerogative ma chiede anche «una squadra autorevole, formata nel rispetto del pluralismo politico e che rispetti la differenza di genere». Il sostegno dei Dem a Draghi viene confermato ancora una volta in Direzione, dove Nicola Zingaretti esprime anche molte preoccupazioni. Vede alzarsi una «generale marea antipolitica» che punta a «delegittimare il Pd» e a «destabilizzare» l’intero sistema politico. Digerire la presenza della Lega nello stesso governo per il Nazareno non è cosa di poco conto ed è agli atti.
Dall’europeismo ai toni più pacati sui migranti, l’auspicio è che le nuove posizioni di Matteo Salvini non siano solo «capriole verbali». Guarda poi in casa Zingaretti e ribadisce che parlare ora di congresso è «da marziani» ma propone di convocare entro febbraio l’Assemblea nazionale. Tra le prossime sfide infatti ci sono anche le amministrative e occorre prepararsi puntando a rinsaldare l’alleanza con 5 Stelle e LeU per vincere le destre.
Sono però ancora una volta i 5 Stelle a essere stati al centro della scena politica. «Aspettando Rousseau», twitta al mattino Beppe Grillo pubblicando un fotomontaggio che ritrae Draghi in bilico su un cornicione mentre Mattarella guarda alla finestra.
Un messaggio per sottolineare l’importanza della votazione sulla piattaforma online e anche del ruolo dei cinquestelle nel governo. In molti puntavano su un risultato simile a quello che poi i numeri hanno confermato: una vittoria dei sì larga ma non larghissima, prova ulteriore dell’esistenza nel Movimento di una minoranza consistente. Più robusta fra gli iscritti di quanto non sia fra i parlamentari.
E c’è chi come la Lega approfitta per sottolineare come di fronte a una divisione così profonda il proprio ruolo e quello di Forza Italia «sia ancora più importante». I vertici grillini, che da Fico a Di Maio e Crimi, si sono spesi per la vittoria dei Sì a sera ringraziano per il senso di responsabilità i militanti e invitano a guardare avanti per «scrivere» il futuro con il Recovery plan. Grazie al quale la spinta al Pil potrà arrivare nei prossimi anni fino al 3,5%, assicura Paolo Gentiloni. Ed ecco perché contano ancora più del solito «l’esperienza, le idee e le capacità del presidente del Consiglio incaricato» in cui il commissario Ue dice di avere «piena fiducia».
Nel giorno che si registra il trionfo della piattaforma 5 Stelle per la messa in pratica della democrazia diretta e nelle ore in cui si conferma ancora una volta la centralità di Beppe Grillo nel cosmo pentastellato, il fantasma della scissione torna ad affacciarsi con prepotenza come direzione di marcia del Movimento. E non è una cosa da poco, non sono le solite scaramucce parlamentari tra governisti e ortodossi, tra dissidenti e malpancisti. Questa volta la frattura è salita davvero fino ai vertici del Movimento, segnando una spaccatura tra Grillo e Casaleggio che non si era mai vista. E che solo a forza di dichiarazioni volte a gettare acqua sul fuoco, a fine giornata i vertici del movimento sono riusciti a sopire.
Ma non abbastanza da convincere Alessandro Di Battista, che con aria mesta annuncia il suo addio. Un addio foriero di una rottura definitiva tra vertici ed ortodossi anche e soprattutto in vista del voto di fiducia al governo Draghi.
E dire che il fondatore del Movimento ha provato fino all’ultimo a tenere tutti insieme.
Ha trattato in prima persona le condizioni per la partecipazione del Movimento al governo del Prof, inserendo molte delle condizioni di programma richieste da Di Battista e dai suoi seguaci. Ha assecondato le richieste di Casaleggio e provato a mediare con i parlamentari che da mesi chiedono una separazione decisa tra la forza politica e la sua piattaforma, gestita da un’associazione presieduta però da un imprenditore privato. «La piattaforma in uso al M5S» arriva a chiamarla, evitando di nominare la parola Rousseau, Dalila Nesci che ha lanciato per prima la guerra a Casaleggio.
Ma la dichiarazione di Casaleggio sulla possibilità di ritestare un eventuale No degli iscritti valutando anche la possibilità dell’ astensione, è stato un segnale che ha fatto la differenza. È la posizione portata avanti da Di Battista e da Barbara Lezzi che non solo si sono schierati per il No ma avevano lanciato proprio la proposta dell’astensione come via d’uscita per provare a tenere insieme il Movimento. Non a caso l’uscita di Casaleggio ha portato ad un’immediata smentita del capo politico, Vito Crimi: nessuna altra votazione sarebbe seguita ad un eventuale No della base. È un basta a Di Battista e a Casaleggio.
Ed anche la presa di distanze del presidente di Rousseau sulla modalità con cui è stato formulato il contestatissimo quesito ( 13 parlamentari ne hanno preso le distanze definendolo «mistificante») racconta la stessa spaccatura: «è stato lui» si è infatti premurato di precisare Casaleggio Jr puntando l’indice contro il capo politico M5s.
Sullo sfondo c’è infatti la battaglia, durissima, tra gli eletti e il figlio del fondatore sulla gestione della piattaforma. Che, invece, si sta riprendendo sempre più spazio.
Non solo la maggior parte dei post pubblicati sul blog delle Stelle vede ormai quasi unicamente la firma di Rousseau, ma è proprio la piattaforma che in queste settimane si sta dando da fare per riorganizzare i territori, federare gli attivisti, organizzarli in sedi digitali. Un lavoro capillare che il M5s ha da tempo lasciato da parte. Ma che potrebbe essere la chiave per la rifondazione di un movimento ispirato da Di Battista.
Questa spaccatura è inoltre sempre più evidente in Parlamento: la pattuglia di «dissidenti» dall’ala governativa, è ormai uscita palesemente allo scoperto e si conta. Guardano a Dibba, a Barbara Lezzi, a Danilo Toninelli, alcuni annunciano senza timori che voteranno No alla fiducia a Draghi. Addirittura c’è stato chi, ad urne ancora aperte, profetizzava una possibile scissione al contrario, quella dei «governisti» in caso di vittoria dei No. Forse, della cinquantina circa di «dissidenti» solo in pochi arriveranno a non votare la fiducia, avendo dichiarato di voler rispettare la volontà degli iscritti. Ma l’addio di Dibba al Movimento, potrebbe di nuovo cambiare le carte in tavola.