Al lavoro ad ogni costo, anche ammalati
Tempo di vaccini, tempo di malattie da raffreddamento e già si avvertono i primi malesseri. Naso che cola, gola in fiamme, febbre. «Che faccio, resto a casa?», è la domanda che ognuno si pone quando è il momento di andare a lavorare. La risposta non è per tutti uguale. C’è chi già al primo starnuto non ha dubbi. Va dal medico e si fa prescrivere più giorni di malattia possibile. Poi chiama il capo e gli dice: «Sto male e non so quando rientrerò». Fa così una minima parte di dipendenti. Molti di più sono quelli che si presentano al lavoro in uno stato pietoso. Da un recente studio condotto in Inghilterra emerge un dato che però deluderà proprio gli stakanovisti, quelli del: «senza di me non ce la fanno».
Su mille dirigenti intervistati dalla Camera di Commercio britannica, 750 hanno dichiarato di non apprezzare da parte dei propri dipendenti il lavoro a tutti i costi. Il problema, infatti, è che, oltre a non rendere molto, i lavoratori «infetti» rischiano di contagiare anche gli altri e di trasformare l’ufficio in un lazzareto. Un altro sondaggio, poi, rivela che quando è malato il 57% dei dipendenti si sente in colpa. Gli studi condotti oltremanica non hanno evidentemente tenuto conto del ministro Brunetta e della sua guerra ai fannulloni. Dopo il suo decreto, a dire del ministro, nella pubblica amministrazione italiana le assenze per malattie sarebbero scese del 50% in tre mesi. Ma viene da chiedersi: sono diminuiti i comportamenti effettivamente scorretti o, vista anche la crisi, sono aumentate le persone che vanno al lavoro ammalate?