C'è la crisi, ma a Roma si occupano della buvette
Italia in ginocchio, come il resto del mondo. Ma nel nostro Paese la classe politica accentua la propria distanza dagli italiani. Che si salveranno "nonostante" i politici
La crisi c’è. Si fa sentire, forte e dolorosa. La cassa integrazione ordinaria è cresciuta, nei primi due mesi del 2009, del 2.400% sullo stesso periodo del 2008, in Trentino. Bankitalia fa sapere che quest’anno il Pil si muoverà con il freno a mano tirato: le previsioni parlano di un calo superiore ai due punti. I carrelli della spesa si svuotano, i consumi in un anno sono scesi del quattro per cento.
Insomma, lacrime. Una situazione di angoscia per tante famiglie. In un quadro tanto pesante, un Paese serio dovrebbe affidarsi alla sua classe politica, ai suoi dirigenti, ai suoi uomini migliori. Alle persone cioè che sono state elette e mandate a Roma per fare il bene del Paese.
In Italia, però, non è così. E la classe politica più in vista, quella della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica, sembra provi quasi un gusto sadico a prendere le distanze dal resto degli italiani. Basta leggere le cronache dei giornali per averne una conferma. Già, ad iniziare dallo sconto scattato alla buvette dei senatori, dove già da sempre si attuano prezzi «politici», vale a dire molto più bassi rispetto ai ristoranti italiani. Per dire: una pasta al ragù per «loro» costa 1,50 centesimi, cifra che suona come un’offesa al cittadino medio. Va detto ad onore del vero che l’ultimo ritocco poi è stato cancellato, ma la pessima figura dei senatori rimane tutta.
La seconda notizia riguarda invece la modifica al sistema di voto a Montecitorio. Entra infatti in vigore la regola «antipianisti»: vuol dire che i deputati potranno votare solo al loro posto, dopo che una speciale apparecchiatura avrà riconosciuto le loro impronte. Una vittoria del presidente della Camera Gianfranco Fini contro l’abitudine di molti parlamentari di votare anche i colleghi. Voi dite: se io timbro il cartellino del mio collega, mi fanno (giustamente) passare un mare di guai mentre per cinquant’anni la prassi dei «pianisti» è stata accettata al Parlamento? Proprio così. E vincere questa battaglia non sarà facile, nel nostro Paese: in tanti hanno deciso di non sottoporsi al riconoscimento dell’impronta digitale.
La politica si occupa della propria buvette e recalcitra di fronte ad un sistema che impone regole giuste, mentre fuori infuria la bufera. È proprio vero, questo Paese si salverà nonostante i politici di oggi.