La tortura non semina democrazia
Sballottaticome siamo in una centrifuga di tristezze e di sciocchezze, corriamo ilrischio che ci sfugga l'importanza di una magnifica notizia che arrivada oltreoceano: l'attuale presidente degli Stati Uniti, contrariamenteal suo predecessore, non considera più come strumento normale e anziraccomandabile la tortura degli incarcerati per terrorismo (accusati,non ancora condannati). Al capo della grande democrazia nordamericananon sembrano più legittimabili le pratiche sadiche divenute famose percerte foto uscite dalla prigione irachena di Abu Ghraib e per certiracconti dal campo di Guantanamo. Certo, non incriminerà gli agentidella Cia che se ne sono resi responsabili, ma nessuno è perfetto.
Chi dalla storia e dalla cultura degli Stati Uniti ha imparato moltivalori civili, liberali e perfino libertari, oltre ad essersiabbeverato alla sua musica, alla sua letteratura e al suo cinema, nonpuò non festeggiare il rinsavimento americano e magari può cominciare asperare che tra una mezza dozzina di presidenti si possa discutereanche della pena di morte, un altro strumento "normale" per la maggiorparte dell'opinione pubblica e per molti Stati dell'Unione.
Ma la tortura, a ben guardare, è perfino peggiore della pena di morte,nel senso che non vuole solo eliminare l'avversario, che sia buono ocattivo (o il reo, vero o presunto), ma gli vuole strappare la libertàe il diritto di mentire, di tacere, di non confessare, di resistere alpotere che lo tiene prigioniero e che ne vuole spremere i segreti, ilpassato, le colpe vere e quelle immaginarie, e che usa il suo corpo e iterminali del dolore fisico e psichico come materiale biologico di cuiabusare, nella logica consolidata secondo cui il fine (il bene comune,la sicurezza, la verità) giustifica i mezzi (anche le scosse elettrichesui testicoli, anche le frustate, anche i semisoffocamenti o i quasiannegamenti, anche le raffinate tecniche coadiuvate da insetti mordacie cani ringhiosi, per non parlare delle minacce, degli insultisanguinosi e delle umiliazioni mortificanti).
Strumento efficace e a buon mercato, la tortura ha sempre avuto unadiscreta popolarità perché è esperienza umana antica e quasiuniversale: molti bambini (poi diventati adulti più o meno normali)l'hanno praticata sui loro coetanei o sui fratellini più piccoli osugli amichetti più grandi ma tonti, oltre che su formiche, talpe,gatti, lucertole, rondini (un mio amico oggi civilissimo buonissimo emitissimo usava crocifiggerle per poi bersagliarle con le sue frecce) eragni (parecchi di noi, da piccoli, hanno dato fuoco, per gioco, allelunghe zampe sottili di quegli animaletti assolutamente innocui).
Molti di noi l'hanno praticata (almeno nelle forme più impalpabili,come la crudeltà psicologica e il sarcasmo feroce contro il nostroprossimo), molti di noi l'hanno subìta: dai prepotenti, dai cattivi,dai superiori, dai colleghi, da certi mal-educatori.
Si tratta di una pratica familiare, a portata di mano, di cuiconosciamo personalmente gli effetti: perché abbiamo paura del dolore,oltre che dello scherno, perché abbiamo paura della paura, perchéabbiamo paura di diventare qualcosa di diverso da quel che vorremmoessere, sotto tortura (e basta immaginare di essere trapanati su undente dolente senza anestesia). Perché non sappiamo se riusciremmo aresistere, a non tradire gli amici, a non rinnegare ciò in cuicrediamo, sotto tortura.
Lo Stato totalitario del Grande Fratello, nel "1984" orwelliano, avevaraggiunto il massimo della raffinatezza, al riguardo: di ognidiversamente pensante da "rieducare", conosceva l'orrore più segreto einconfessato. Nel caso del protagonista Winston Smith, erano i topi: ebastò applicare una gabbia al viso di Winston, con un portellino prontoad aprirsi per lasciare libero accesso ai roditori, muso a viso, perottenere la sua ritrattazione e la sua obbedienza. Con la goccia alnaso e le vene inondate di pessimo gin, avrebbe smesso di contestare ilpotere, avrebbe amato il Grande Fratello.
Che il nuovo inquilino della Casa Bianca, oggi, sconfessi la liceitàdella "tortura democratica" è davvero una buona notizia per il mondo, eper chi crede che lo Stato non possa e non debba terrorizzare néuccidere, nemmeno per difendersi da chi terrorizza e uccide. Perché ledemocrazie devono essere, sempre, moralmente migliori di chi leminaccia. Perché la giustizia non deve sporcarsi le mani di sangue.