Tremonti boccia la flessibilitàViva il posto fisso
Dunque il ministro Tremonti rilancia il posto fisso, a cui riconosce l'importanza come «base sui cui organizzare» il proprio «progetto di vita e di famiglia». Tremonti ha detto anche un’altra cosa: che non considera la mobilità come un valore in sé.
Su questa uscita del ministro, peraltro non nuovo a virate anche brusche rispetto alla rotta liberista disegnata dal premier Silvio Berlusconi, si è subito scatenato un vivace dibattito. C’è che gli ha dato ragione, chi gli ha dato torto, chi ha bollato come demagogica la sua uscita. Ma lasciamo stare le polemiche su presunti secondi fini, restiamo al nocciolo della questione. In questo caso, è difficile non essere d’accordo con Tremonti. Intendiamoci, ha detto un’ovvietà. Ma è importante che l’abbia detta, e che l’abbia detta un ministro. Veniamo da anni nei quali la flessibilità dei contratti di lavoro era assurta a dogma intoccabile, così come prima lo era il posto fisso. Riforme successive del mercato del lavoro hanno agito su quel fronte. Non si è fatto altrettanto, però, per riformare il sistema degli ammortizzatori sociali. Si è agito a senso unico, esasperando la prima e mortificando i secondi. Il risultato è stato quello di creare un’intera generazione di precari, senza capacità di spesa. La flessibilità del mercato del lavoro è diventata una risposta alla spietata concorrenza di paesi che possono permettersi costi di manodopera inimmaginabili per noi. Salvo poi scoprire che senza un posto fisso non si progetta, non si compra casa, non ci si sposa e non si fanno figli.