L'urlo di Haiti, terremoto per la coscienza
Aldi là dello sbigottimento davanti alle immagini e ai racconti di Port-au-Prince (per fortuna col decoder si prende Bbc world, perché neiprimi 4 giorni post-tragedia, se fosse stato per lo scadente serviziopubblico Rai, avremmo visto soltanto suggestivi esterni della Farnesinaby night e il volto compìto del ministro Frattini intervistato inAfrica sull'emergenza caraibica) l'epilessia della terra che haprodotto l'urlo di Haiti ripropone le domande di sempre. Le domandeultime.
Perché? Com'è possibile? Non è giusto! Se c'era un Dio, dov'era?
Chiedendoumilmente scusa ai filosofi e ai teologi che da qualche millennioperdono il sonno su queste domande, ecco le principali risposte che nelcorso della storia, e in parte anche oggi, sono state azzardate.
1) Dio manda il terremoto per punire la malvagità degli uomini: se poisbaglia mira e, oltre ai delinquenti, falcia anche gli innocenti, ècolpa degli uomini, mica di Dio.
2)I terremoti dimostrano che la natura è matrigna e che non è la paternabontà di Dio a governare il mondo e che non viviamo nel migliore deimondi possibili (fondamentale lo scritto di Voltaire contro la teodiceadi Leibniz dopo il grande shock del terremoto di Lisbona, 1755).
3) Dio, creatore e governatore del mondo, lascia che accadano iterremoti perché nella sua imperscrutabile onniscienza anche il male sipuò provvidenzialmente tradurre in bene, e dalla morte rinascere lavita: chiniamo la testa e chiediamo la sua misericordia.
4) Dio ha creato il mondo innescando la prima scintilla del Bing Bangma ha lasciato sia all'universo sia all'uomo la libertà di seguire ipropri percorsi evolutivi, e dunque ha rinunciato alla propriaonnipotenza, si è incarnato uomo in Gesù di Nazareth e oggi può solopiangere abbracciato al dolore dell'uomo, nell'attesa che anche i mortidi Haiti risorgano col morto del Calvario, per una vita nuova.
5) Dio non esiste e i terremoti accadono per fenomeni geologiciscientificamente descrivibili ma non (ancora) prevedibili. Non è colpadi nessuno, e nella terra che trema non ci sono significati, messagginé segni soprannaturali.
"Edecco che il Signore passò. Ci fu un vento impetuoso e gagliardo, daspaccare i monti e spezzare le rocce davanti al Signore, ma il Signorenon era nel vento. Dopo il vento un terremoto, ma il Signore non eranel terremoto. Dopo il terremoto un fuoco, ma il Signore non era nelfuoco. Dopo il fuoco, il sussurro di una brezza leggera. Come l’udìElia si coprì il volto con il mantello. Uscì e si fermò all’ingressodella caverna. Ed ecco venne a lui una voce che gli diceva: che cosafai qui Elia?" (1Re 19,11-13),
Qualunque sia la risposta prescelta, che si creda oppure no in unaldilà dopo la scossa e il buio, ciò che compete all'uomo qui ed orasarebbe domandarsi se si possano limitare gli effetti devastanti di unfenomeno naturale. E allora dovrebbe emergere la cattiva coscienza delmondo progredito e antisismico, che non si inquieta se il popolo di unostaterello pittoresco come Haiti viene quotidianamente, da decenni,violentato dai dittatori e dalla miseria, ma si commuove fino allelacrime (com'è naturale e giusto) quando vede la bambinamiracolosamente resuscitata dalle macerie, ed è pronto a versaremilioni di euro via sms e ad adottare milioni di orfani, ritrovandopresto la buona coscienza e la speranza per il futuro.
E invece l'unica cosa buona e giusta da fare sarebbe trovare un sistemamondiale meno cattivo e meno ingiusto di questo, in cui i terremotifanno strage di poveri già condannati a morte e risparmiano i ricchicon le ville a prova di scossa; ma questa la chiamano utopia, e lapolitica – sepolti il marxismo, il comunismo e il cristianesimoradicale – ha da tempo rinunciato alla lotta per l'eguaglianzauniversale.
Dopo l'orrore sismico di Lisbona 1755, Rousseau rispondeva così aVoltaire: "Restando al tema del disastro di Lisbona, converrete che,per esempio, la natura non aveva affatto riunito in quel luogoventimila case di sei o sette piani, e che se gli abitanti di quellagrande città fossero stati distribuiti più equamente sul territorio ealloggiati in edifici di minor imponenza, il disastro sarebbe statomeno violento o, forse, non ci sarebbe stato affatto. Ciascuno sarebbescappato alle prime scosse e si sarebbe ritrovato l’indomani a ventileghe di distanza, felice come se nulla fosse accaduto".
Atrocità nell'atrocità, i morti di Haiti non hanno neppure avuto lagiustizia di un addio umano, nell'isola che evoca i fantasmi eattraversa la vita dei vivi e la vita dei morti con l'antica magia delvoodoo.
Mezzo secolo fa, Haiti era povera e colonizzata e malgovernata comeoggi, e Graham Greene, ambientandovi il suo “Commedianti” (perché glioccidentali ai tropici hanno sempre una rilevante parte in commedia, espesso sono i burattinai dei burattinai al governo...) scriveva questerighe che oggi fanno rabbrividire: “Ci stavamo avvicinando a PetitGoave. ... Scure capanne sembravano oscillare nella luce dei fari almargine della strada, con il fango delle pareti e la paglia dei tettiche la pioggia andava disfacendo; non una lampada era accesa, non sivedeva un solo essere umano, neppure uno storpio. Nei giardinetti, letombe di famiglia sembravano più solide della capanne. Ai mortivenivano assegnate dimore migliori che ai vivi... case di due piani constrombature di finestre ove il giorno dei morti si potevano porrelumini e cibi”.
L'atrocità della storia, combinata con la malvagità della natura, hafatto sì che le case in cattiva muratura abbiano ucciso ad Haiti moltipiù vivi di quanti avrebbero travolto le capanne di fango e paglia, eche oggi non ci sia quasi più un muro dove mettere i lumini per imorti, inghiottiti nel baratro delle sepolture di massa, sottratti alculto e al lutto dei loro cari. Con i superstiti due volte orfani ovedovi di chi non solo è morto ma ha avuto il corpo cancellato dalleruspe.
Ci sia o no un Dio, resta lo scandalo dell'umanità di sempre e di oggi:alle nostre latitudini, i cani e i morti hanno dimore migliori dellecase dove, fra tropici ed equatore, vivono i nostri simili di Haiti e“dintorni”. E questo, prima e più che il terremoto, è un drammapolitico, morale e umano di cui siamo in varia misura corresponsabili,da cui non possiamo chiamarci fuori.