Nord in mano alla Lega, Pdl in tenuta, crisi Pd, terzi poli a far da comparse. Nel complesso, Berlusconi comanda al Nord (tramite Bossi) e al Sud, mentre nella fascia centrale dell’Italia regge la tradizione di centrosinistra. Le conquiste più clamorose riguardano il Piemonte e il Lazio, che aggiungono voti pesanti al “referendum” vinto dal capo del governo. Ecco l’esito del voto di domenica e lunedì: sette regioni al centrosinistra, sei a Pdl - Lega: ma Piemonte, Lazio, Calabria e Campania passano dal centrosinistra al centrodestra.
Insomma, se il Pd - già battuto alle politiche e alle europee - poteva vantare un maggiore radicamento territoriale, ora è in affanno anche a livello locale. Un partito che non ha testa (a Roma) ma nemmeno piedi (sul territorio), almeno in tutto il Nord. Saremo brutali: al partito di Bersani non bastano l’antiberlusconismo, né la ricerca di timide alleanze al centro, né la speranza che Berlusconi sia al crepuscolo. Il Pd va rifondato tutto, con una nuova classe dirigente nazionale e con un’attenzione maggiore alle periferie, alle province, alle valli, alle aree dimenticate. Da qui bisogna ripartire: dal più piccolo comune, per creare un partito con una base, e non solo un vertice.
Il dato politico (e geografico) più vicino al Trentino è quello del Veneto: più di un elettore su tre ha votato per la Lega e sei su dieci hanno preferito puntare su Luca Zaia. Numeri che si uniscono al trionfo - più impegnativo di quello veneto - di Cota in Piemonte e che dicono che Umberto Bossi di fatto ha realizzato il progetto politico della Padania, naturalmente senza secessione. Carroccio come partito del territorio, in un fronte unitario con il Pdl: ecco il movimento che rappresenta gli interessi del Nord. E considerare gli elettori leghisti come i “soliti” razzisti e quali cittadini involuti che guardano solo in casa propria è proprio il primo errore da evitare. Il Pd lo capirà?