Itas Diatec: una grande storia fatta di piccole storie
Nella storia della pallavolo italiana l'Itas Diatec Trentino c'è già: un Mondiale per club, due Champions League, uno scudetto e una Coppa Italia. In quella del volley mondiale potrebbe entrarci stasera vincendo la terza finale scudetto contro Cuneo. Mai nessuna squadra italiana è infatti riuscita ad aggiudicarsi Mondiale, Champions, scudetto e Coppa Italia nella stessa stagione.
Un'annata simile la può vantare soltanto la Maxicono Parma di Montali che nel 1989/90 vinse Mondiale, scudetto, Coppa Italia, Coppa Coppe (non Champions) e Supercoppa Europea. Non è dunque soltanto una partita quella di stasera nel palazzetto di Casalecchio di Reno. È un appuntamento con la storia. Una storia collettiva che, come ogni impresa sportiva, è fatta di tante vicende individuali. Storie di uomini e di atleti che, ad uno ad uno, sono stati scelti dal presidente Diego Mosna, dal general manager Giuseppe Cormio e dall'allenatore Radostin Stoytchev per costruire un team vincente nel tempo.
Prendete Andrea Bari. È l'unico «sopravvissuto» dell'era pre-Stoytchev. Venne acquistato nel 2005 da Gioia del Colle, squadra che quell'anno retrocesse in A2, e ora è l'uomo simbolo dell'Itas. È il giocatore con il maggior numero di presenze nella squadra trentina (193 presenze), ha appena rinnovato il contratto per altri tre anni e domenica scorsa ha conquistato il titolo di miglior libero delle finali di Champions League.
L'amico del cuore Emanuele Birarelli - di Bari è stato compagno di banco a scuola per 13 anni a Ostra, provincia di Ancona - a pallavolo aveva addirittura smesso di giocare nel 2002 per problemi a una mano. Tornò in campo nel 2005 e nel 2007, come Bari due anni prima, retrocesse in A2 con Verona. Cormio e Stoytchev lo vollero subito a Trento. Adesso è titolare inamovibile della nazionale.
Lukasz Zygadlo, il palleggiatore che ha preso il posto del brasiliano Raphael infortunato, l'estate scorsa avrebbe voluto andarsene. Vice alzatore della Polonia, la squadra campione d'Europa con cui ha giocato 135 partite, ambiva a diventare protagonista dopo aver vissuto una stagione all'ombra di Grbic. Trento, nel frattempo, aveva però ingaggiato Raphael. «Lukasz avrebbe il posto da titolare in qualsiasi altra squadra italiana», riconobbe anche mister Stoytchev che seppe tuttavia convincerlo a restare. E Zygadlo è stato ripagato, conquistando Champions League e riconoscimento di miglior palleggiatore delle finali nella sua Polonia.
Leandro Neves Vissotto arrivò due anni fa. Giocava a Taranto e con i suoi 484 punti, quasi un terzo dell'intera squadra, la trascinò alla salvezza. Taranto, naturalmente, non voleva lasciarlo andare e le sirene di Roma lo lusingavano. Lui rimase irremovibile: «Voglio andare solo a Trento». È diventato l'uomo degli appuntamenti importanti, in cui non sbaglia mai. Conta di farlo pure con il suo Brasile il prossimo 10 ottobre a Roma, nella finalissima del Mondiale.
Il capolavoro autentico del gm Cormio risponde tuttavia al nome di Matey Kaziyski. L'asso bulgaro era la pietra angolare su cui mister Stoytchev, che lo allenava assieme a Sergio Busato nella Dinamo Mosca, aveva deciso di costruire la squadra dei sogni. Lo Slavia Sofia, sua società d'origine, non voleva però svincolarlo e Piacenza, ancor più di Treviso, lo allettava a suon di palate di euro. «O con Trento o niente», disse Matey. Cormio, rischiando un tantino anche sul piano personale nei suoi pericolosi viaggi a Sofia, lo accontentò. E il capitano ora è stato ribattezzato l'«Imperatore» dai tifosi.
C'è poi la favola di Andrea Sala, l'unico giocatore dell'Itas a essere tornato a Trento. Sala è un altro che al volley aveva deciso di dire basta. Era il 2000, Andrea giocava in B2 e guidava i furgoncini della Dhl, percorrendo 90 mila chilometri all'anno con il suo furgoncino. Lo chiamò Giandonato Fino, il «puma» di Molveno, invitandolo a disputare la B1 con la squadra dell'altopiano della Paganella. Per stare più vicino alla fidanzata (ora moglie) Elisa, che allora giocava a Vicenza, Sala accettò e si licenziò. Al termine di un'amichevole con l'Itas venne avvicinato da mister Bruno Bagnoli: «Vieni ad allenarti con noi». Disputò due campionati a Trento, dove è tornato quest'anno. Da domani il ct Andrea Anastasi lo attende in nazionale.
E infine c'è la storia più bella, quella di Osmany Juantorena. Nipote di un cugino di Alberto Juantorena, «El Caballo» che nelle Olimpiadi di Montreal 1976 vinse 400 e 800, l'atleta cubano ha mezzi fisici che avrebbero potuto portarlo al successo in qualsiasi disciplina sportiva. Cominciò col basket ma, sotto canestro, il suo fisico esile veniva preso a sportellate. Passò al volley, prima come palleggiatore e poi come schiacciatore. A vent'anni era già una stella di prima grandezza nella nazionale cubana. Nell'autunno 2006 lo fermò una strana positività all'antidoping ai Giochi Centroamericani. Ancor prima di finire di scontare i due anni di squalifica, l'Itas lo volle a Trento. Osmany restò un terzo anno ai bordi del campo in attesa di un transfer della Federazione internazionale che sembrava non voler arrivare mai. E intanto si allenava come e più degli altri. Alla prima giornata di campionato, con 22 punti, è risultato subito il miglior realizzatore dell'Itas e nello scorso fine settimana, rimesso letteralmente in piedi dall'osteopata Massimo Di Vetta, ha vinto il premio di miglior giocatore delle finali di Champions.
Questi sette uomini a Lodz hanno stabilito un primato, quello del minor numero di punti (53) concesso alla perdente in una finale di Coppa Campioni. Oggi, assieme a chi siede in panchina pronto a entrare in campo, cercheranno di stabilire un altro primato. Sarà una sfida anche al passato, con quattro ex (Nikolov, Fortunato, Jeroncic e, soprattutto, Grbic) in campo con Cuneo. Sarà il confronto tra la giovinezza (28,4 l'età media dei titolari di Trento contro i 32,7 degli avversari) e l'esperienza (Grbic ha disputato 15 playoff, Mastrangelo 13).
I precedenti dicono Cuneo (17-15), ma nelle ultime nove partite contro i piemontesi i trentini hanno perso soltanto in due occasioni. La speranza è che, a fine partita, i Blues Brothers, i tifosi cuneesi, possano intonare la canzone sentita l'anno scorso a Trento nella semifinale scudetto persa: «Non vinciamo mai un c..., non vinciamo mai un c...». Comunque vada, il nome del palazzetto - «Futurshow» - è già un presagio. Perché questa Itas Diatec Trentino ci farà divertire. Anche negli anni a venire.