L'insostenibile impronunciabilità del vulcano Eyjafjallajokull
Adesso ci penseranno i guru internautici di Dellai, De Biase e Kettmajer, attraverso la neonata Fondazione Ahref (ilnome viene dal comando html per creare un link), Fondazione incubatadai cervelli brillanti di Fbk e fecondata dagli euro sonanti della Pat,a rilanciare le sorti dell'informazione nazionale, ripartendo dal basso(ma anche dal largo) dei social network: Ahref (testimonial ideale, perassonanza, Afef) è pensata per studiare, diffondere e progettareiniziative di qualità nei media sociali al servizio dei cittadini chela sostengono.
Nel frattempo, ci si acconterebbe di giornalisti un po' meno pigri, un po' meno provinciali.
Digiornalisti che, per esempio, se inviati al seguito di Fini aMarrakesh, ci raccontassero come cambia il Marocco e non si limitasseroa chiedere al presidente della Camera l'ultima replica all'ultimasparata di Bossi.
Di giornalisti che smettessero di dire e scrivere "il tragico bilancio"di una sciagura, visto che il bilancio presuppone un attivo e unpassivo, o una colonna di costi e una di ricavi. Ma nel caso delledisgrazie c'è solo un dare (il sangue delle vittime) e non c'è mai unavere.
Di giornalisti che, annunciando un servizio al tg, smettessero discandire stentorei: "Ci racconta tutto" - o, peggio - "ci spiega tutto"Pinco Pallo, dove il povero Pinco Pallo è il collega del conduttore chein 45 o 57 secondi di servizio filmato dovrebbe sintetizzare TUTTO, farcapire a noi telespettatori TUTTO, quando sarebbe già tanto che cifacesse imparare qualcosa.
La pigrizia poco edificante dei giornalisti italiani non emerge solodalle interviste tv genuflesse ai potenti, che quasi nessuno incalzacon domande scomode e affilate, ma anche dall'ostinata e ostentataignoranza linguistica. Ne fanno le spese per esempio le parole e i nomitedeschi, a cominciare dal sommo Bach, che la maggior parte deipronunciatori - per non sforzare il palato - continua a trasformare inun metallico BACK.
Ne ha fatto le spese il vulcano islandese Eyjafjallajokullche, ammettiamolo, non è il toponimo più gradevole del pianeta, ma è ilsuo nome, e guai a chi glielo tocca. E allora, invece di fare unatelefonata a Reykjavik o di andare 10 secondi su un sito islandese eascoltare la pronuncia giusta, il telegiornalista italiano che cosa fa?Parla del "vulcano islandese dal nomeimpronunciabile", e ci ridacchia quasi su. IM-PRO-NUN-CIA-BI-LE. Ma nonè vero!!! Giuro che ho sentito una giornalista di Radio3 Scienza (unodei tanti meravigliosi programmi della terza rete della radio pubblica,finché dura) pronunciare disinvoltamente, liquidamente, quasisensualmente Eyjafjallajokull.
Un segno di rispetto al resto del mondo: perché i giornalisti - pagatiper informare ma anche per informarsi - possono e devono pronunciarecorrettamente (nei limiti del foneticamente possibile) i nomi deivillaggi afghani, dei quartieri di New York e perfino dei vulcanid'Islanda.
Non c'è nulla di impronunciabile a questo mondo, e lo sappiamo noitrentini, che dopo un'adeguata formazione possiamo perfino pronunciareil cognome sudtirolese Tschurtschenthaler: che suona Ciurcentàler,molto più semplice di quel che appare, proprio come il nostro Eyjafjallajokull, che mette a soqquadro i nostri cieli, a disagio i teleconduttori, in subbuglio i nostri cuori.