Sci: spazioal fuoripista
Mondo neve: la tendenza è quella di uscire dalle piste tracciate, ma serve responsabilità e spazi adeguati
Una giornata di sole, e la neve appena caduta. Gli scialpinisti guardano con sospetto, aspettano, chiedono, annusano l’aria, saggiano il terreno, consultano le cartine e poi, con rispetto, programmano le proprie uscite. Ciaspolatori, snowboarder e freerider partono all’avventura, spesso senza lo zainetto salvavita con arva-pala-sonda, quasi un mantra da ripetere ogni volta che ci si avventura su pendii vergini.
La tentazione di tracciare la prima curva, o di salire su creste candide sotto il cielo di vetro, è forte, troppo forte. E poi la pubblicità va tutta verso quel tipo di esperienza: i manifesti dei negozi e delle località sciistiche sono a senso unico, libertà e perline colorate, fuori dagli schemi, fuori dalle beatentracks.Neve soffice in cui immergersi fino alla vita e poi, salti, evoluzioni, tricks and cliffs, senza pensare ai piani di slittamento, agli accumulida vento, alle cornici instabili.
Sono come mondi che non si parlano tra di loro, fatica e responsabilità con gli scialpinisti da una parte, divertimento e incoscienza con snowboarder e freerider dall’altra, in mezzo i ciaspolatori, sdoganati dalla Sat ma sempre più spesso convinti che andare in quota con le racchette da neve sia assolutamente privo di rischi. A queste tendenze finora si è reagito per lo più con divieti: di sciare sotto gli impianti, di andare fuori pista, multa a chi osa tracciare una serpentina nella neve fresca, a chi, e questa volta giustamente, taglia pendii instabili.
Sono stata un paio di settimane in Canada: pochi impianti di risalita, vecchi e lenti (minime o nulle sovvenzioni pubbliche), e una miriade di piste solamente segnate, con la possibilità di andare dove si vuole. Mi spiega uno dei tantissimi “controllori”, che in realtà più che a vietare è impegnato soprattutto a dare consigli, e a volte ad accompagnare per fuoripista davvero impegnativi chi ha qualche sana perplessità: tutta l’area è divisa in tre zone: una parte di piste battute, con una “zona lenta”, per principianti e bambini, un’ampissima area in cui si può sciare in sicurezza perché è stata bonificata dalle valanghe ma in cui è obbligatorio essere muniti di arva-pala-sonda, ed infine una zona vietata in cui non ci si può proprio andare. Ed in effetti quando queste aree sono chiuse, vuol proprio dire che sono terrificanti!
Le nostre Alpi sono troppo affollate per fare un discorso del genere, ma si potrebbe decisamentecominciare a pensare di aprire delle zone “selvagge” ma sicure anche all’interno dei nostri megacaroselli patinati, così come accade normalmente in Svizzera ed in Francia, in Val d’Aosta ed in Austria, aree non battute dove fare del buon vecchio fuoripista, o come si dice adesso freeride, in maniera legale e anzi approvata. Questo richiamerebbe turisti esigenti e disposti a spendere, frenando la corsa al ribasso che stanno vivendo molte delle nostre stazioni turistiche e dando spessore anche ai comprensori caratterizzati da un basso numero di risalite.
Il modello “tanti impianti, tanta folla, tante entrate” è arrivato al punto di saturazione e l’unica strada è diversificare, lasciando spazio al turismo dolce e alle tendenze più “libertarie”. Se nei negozi di articoli sportivi una buona parte è ormai dedicata agli sci freeridedoppiepunte, alle tavole da fresca e alle ciaspole, vuol dire che la richiesta c’è: manca solo lo spazio fisico dove esercitare queste passioni. In sicurezza.