Non possiamo perdere l'A22
Nel 2013, dopo quindici anni di regno ininterrotto, si concluderà l'era di Lorenzo Dellai alla guida dell'autonomia trentina. Pochi mesi dopo, per un curioso scherzo del destino, potrebbe concludersi anche l'era dell'Autostrada del Brennero. E le bizze del destino non finiscono qui
Nel 2013, dopo quindici anni di regno ininterrotto, si concluderà l'era di Lorenzo Dellai alla guida dell'autonomia trentina. Pochi mesi dopo, per un curioso scherzo del destino, potrebbe concludersi anche l'era dell'Autostrada del Brennero. E le bizze del destino non finiscono qui, visto che governatore e società sono coetanei: il 20 febbraio 1959 veniva costituita la società Autostrada del Brennero; qualche mese dopo, il 28 novembre, veniva alla luce il futuro presidente della Provincia. Destini incrociati. Anche perché quello dell'A22 rischia di macchiare irrimediabilmente la lunga stagione dellaiana.
Lasciare la guida della Provincia senza aver messo in cassaforte la concessione autostradale, o, peggio, vedersela sfilare, magari da un colosso europeo del settore in una gara europea che gli stessi vertici A22 prevedono molto affollata, sarebbe uno smacco politico difficile da metabolizzare. L'Autostrada del Brennero rappresenta infatti, per il Trentino, uno di quegli asset strategici che possiamo considerare fondamentali per il futuro stesso della nostra autonomia. Al pari di quello energetico, con il quale numerose sono le analogie, a cominciare dalla sempre delicata triangolazione Trento-Roma-Bruxelles. Ma rispetto al quale c'è anche una grande, decisiva differenza: quando, qualche anno fa, Trento e Bolzano affrontarono la grande e, possiamo dire, vittoriosa sfida della «provincializzazione» dell'energia, lo fecero imbracciando un'arma formidabile, la previsione in materia dello Statuto di autonomia, e sfruttando le rare finestre di governi, se non proprio amici, almeno ben disposti e comunque meno sensibili alle pressioni lobbistiche del settore. Con l'autostrada le cose sono ancora più complicate.
Non abbiamo lo scudo dello Statuto; non abbiamo, ormai da anni, governi amici né rapporti o entrature tali da far superare la reciproca diffidenza; non abbiamo avuto, insomma, una efficace sponda romana e, di conseguenza, nemmeno una sponda europea (della nostra pattuglia di parlamentari non si può dire molto, il loro impatto sulla partita, fino ad oggi, è da «zero tituli»). Il contesto nazionale ed europeo non è favorevole. I rischi di perdere la partita sono reali, e con la partita si perderebbero molte altre cose. Si perderebbe, ad esempio, una decisiva fonte di finanziamento di opere infrastrutturali sul territorio. Ve li immaginate i Benetton stanziare decine di milioni di euro per un'opera come il casello di Ravina, con relative bretelle e bretelline, tutte al servizio della comunità? O Abertis disseminare barriere antirumore lungo l'arteria in corrispondenza di ogni maso disturbato dall'inquinamento acustico del traffico? O, ancora, il gruppo Gavio che rinuncia a gran parte dei dividendi per dirottare gli utili su un'opera che farà concorrenza alla stessa società che sborsa i soldi? L'arrivo di un gruppo privato sarebbe, per le comunità e i territori attraversati dai 314 chilometri dell'A22, un brutto risveglio. Come evitarlo? La risposta non può essere che una: con la politica.
Mentre, fino ad oggi, sembra che la partita sia stata giocata più sul piano della burocrazia, e decisa più dai tecnici che dai politici, più dai dirigenti che dai ministri. Quei tecnici che amano farsi scudo dei dubbi di Bruxelles, dei vincoli della contabilità nazionale, delle direttive di Authority di vario tipo. Salvo poi scoprire che per altri (quelli che Dellai, non a torto, ha chiamato l'altro ieri «i più furbi», sempre premiati in questo disgraziato Paese, e, guarda caso, spesso titolari di concessioni in territori «omogenei» alla maggioranza di governo) quelle regole non erano così stringenti, quegli ostacoli non così insormontabili, quei vincoli non così rigorosi. L'esempio più lampante di questa impostazione è stata la miniproroga, quegli otto anni e quattro mesi strappati nel 2005 proprio ai burocrati ministeriali e che avevano tutto il sapore della beffa. Insomma, da un lato la società Autostrada del Brennero è stata maltrattata rispetto a molte altre concessionarie; dall'altro, però, la politica locale, a Trento come a Bolzano, non è apparsa all'altezza.
L'ex presidente Willeit, proprio in occasione dell'inaugurazione del nuovo casello, ha detto che ci si è preoccupati di chiudere la stalla quando ormai i buoi erano scappati. Lui stesso, in effetti, ancora in carica, ribadiva in ogni occasione il rischio di dover affrontare una gara per l'assegnazione della nuova concessione, mettendo in guardia gli enti territoriali azionisti. Chiarissimi erano stati i dirigenti generali dei ministeri coinvolti. Più di un anno fa, nel corso di un vivace consiglio di amministrazione, il consigliere Sandro Schmid aveva sollevato il problema lamentando la «scarsa incisività» delle due Provincie autonome, chiedendo «uno scatto» e sollecitando un confronto con i ministri Matteoli (Infrastrutture) e Tremonti (Economia). Proprio quest'ultimo è stato il grande assente nella trattativa. Anche quella che sembrava (e per alcuni sembra tuttora, grazie all'ennesimo spiraglio romano) una possibile soluzione - la società di corridoio auspicata dal sempre ottimista commissario governativo Mauro Fabris - ha sempre incontrato l'interesse e il favore di molti ambienti governativi, meno quello più importante.
Ci sono stati tanti vertici con il ministro Matteoli, mai con il ministro Tremonti. C'è sempre stato un «se» grande come una casa, al termine di quei vertici: «se» il ministro dell'economia approva. Uno stato di cose riconosciuto dallo stesso Dellai, dopo il vertice di Roma di ieri, salutando la «prima», al tavolo del confronto, di un uomo di Tremonti, il sottosegretario all'Economia Alberto Giorgetti. Siamo ancora in tempo per recuperare? È difficile trovare motivi di ottimismo. Una cosa è certa: bisogna agire, senza indugi, per un riposizionamento strategico. Muoversi nell'ottica della gara, «come se», e muoversi con quello che abbiamo e che i due azionisti principali Durnwalder e Dellai possono e devono giocarsi. Cioè il cosiddetto «modello Brennero», la grande intuizione di fine anni Novanta che portò all'approvazione, in due distinte finanziarie del primo governo Prodi, di uno schema inedito e per molti versi rivoluzionario: far pagare al traffico su gomma la realizzazione di una imponente infrastruttura ferroviaria che quel traffico lo dovrà portare su rotaia.
Sono gli unici soldi certi, o quasi, destinati al tunnel del Brennero, sono un tesoretto che fa gola a molti, sono ciò che gli azionisti di A22 possono fare pesare nella trattativa. Se poi, come appare probabile se non certo, si andrà a gara per assegnare una nuova concessione, il finanziamento trasversale del tunnel diventa la chiave di tutto. Il bando di gara per la nuova concessione sarà il banco di prova, perché non tutti sarebbero disposti a partecipare a un gioco nel quale le regole impongono di rinunciare a profitti privati per beneficiare stakeholder pubblici. Chi costruirà quel bando deciderà in gran parte i destini della società Autobrennero. E i destini che con il suo si incrociano.