Risparmi e crac finanziari
«E, allora, che si fa?». Vengo investita da questo problema, mentre scambio tranquillamente (così, almeno, mi sembrava) due parole in attesa del mio turno in banca. L’angoscia della mia interlocutrice è evidente: l’argomento è il risparmio
«E, allora, che si fa?». Vengo investita da questo problema, mentre scambio tranquillamente (così, almeno, mi sembrava) due parole in attesa del mio turno in banca. L’angoscia della mia interlocutrice è evidente: l’argomento è il risparmio. Faccio un respiro profondo, nella speranza che anche lei riesca a scrollarsi di dosso tutta l’apprensione che la pervade: in fin dei conti, le dico, chi riesce ancora a mettere da parte qualcosa, può dirsi fortunato. «Già - replica la signora, inesorabile - ma quando si fanno tanti sacrifici per far studiare i figli, e poi, magari, i fondi accantonati possono essere spazzati via…».
Nego, questa volta con decisione, una simile eventualità. Diamine, a meno che non si siano investiti i fondi studi dei ragazzi in Cirio, Parmalat, Cerruti, Finmeck ed altre ditte sciaguratamente arrivate al crac, i propri risparmi dovrebbero essere abbastanza tutelati. Senza contare che ormai molta giurisprudenza ha sancito il principio che le banche che non hanno avvisato correttamente gli investitori del rischio, sono tenute a risarcire. Aggiungo, per prudenza, che in ogni caso è meglio optare per titoli sicuri, a basso rendimento, di sicuro rimborso almeno al cento per cento del capitale.
La signora è informatissima: «Guardi che giornali e televisione non parlano d’altro che di crac finanziari: dopo quelli delle società private, ora si teme anche il cedimento di interi Stati (pare che l’America il suo l’abbia appena scongiurato; in Europa sono in molti a temere per Grecia, Spagna, Irlanda, Portogallo e…Italia). Quindi, anche con i titoli bisogna stare attenti». Ha perfettamente ragione. Anch’io ho tre figli che studiano all’università, e senza quel piccolo fondo studi accantonato negli anni mi sentirei senza paracadute. Rifiuto, però (almeno consciamente) lo stato di allarme e di paura che questa bravissima e previdente signora riesce a trasmettermi con ogni sua sillaba. La rincuoro, o, almeno, ci provo. «Lo sa che le banche sono tenute a rispettare la Carta dei diritti del cliente?». «No. Di che si tratta?». «Sono i principali diritti, che tutelano chi apre un conto corrente, chi effettua un deposito, chiede un finanziamento, e via dicendo: insomma, chi si rivolge ad una banca per chiedere un servizio. O per chi ci ha ripensato».
Parto proprio da questa eventualità: il diritto di recesso senza spese, può essere sempre effettuato entro i 10 giorni lavorativi dalla conclusione del contratto, così come previsto dagli articoli 45 e seguenti del codice del consumo. I giorni diventano 14 per i contratti negoziati attraverso tecniche di comunicazione a distanza. Si ha, poi, diritto di conoscere il TEG (Tasso Annuo Effettivo Globale) nel caso di contratti di finanziamento, e di avere esempi concreti dell’ISC, Indicatore Sintetico di Costo del conto corrente. A richiesta, deve essere sempre disponibile la visione (e la copia) del documento di sintesi unito al contratto, contenente tutte le indicazioni economiche. Si ha anche diritto a non avere condizioni sfavorevoli rispetto a quelle pubblicizzate nel foglio informativo, e a ricevere comunicazioni sull’andamento del rapporto, mediante un rendiconto.
Quanto alla modifica unilaterale delle condizioni contrattuali, tale facoltà deve essere prevista nel contratto sottoscritto. Se si hanno dei dubbi, è sempre possibile ottenere copia della documentazione sulle singole operazioni degli ultimi dieci anni. Importante, poi, è la cosiddetta «portabilità», ossia la possibilità di trasferire il contratto di finanziamento presso altra banca senza pagare penalità o oneri di qualsiasi tipo. Non faccio a tempo a parlare dei diritti del cliente, al momento di chiudere il proprio rapporto con la banca: la mia interlocutrice è già allo sportello. Proseguiremo il discorso la prossima settimana.