Quattro «no» alla Valdastico

Non sono pochi i buoni motivi che ci impongono di dire «no» alla Valdastico. Buoni e fondati, a dispetto di chi, in questi ultimi giorni e anche sulle pagine di questo giornale, del nuovo collegamento autostradale ha esaltato la presunta valenza strategica, quasi che il futuro stesso del Trentino dipendesse da quei 39 chilometri di asfalto da Piovene Rocchette a Besenello

di Renzo Moser

Non sono pochi i buoni motivi che ci impongono di dire «no» alla Valdastico. Buoni e fondati, a dispetto di chi, in questi ultimi giorni e anche sulle pagine di questo giornale, del nuovo collegamento autostradale ha esaltato la presunta valenza strategica, quasi che il futuro stesso del Trentino dipendesse da quei 39 chilometri di asfalto da Piovene Rocchette a Besenello. Ci limiteremo a indicarne quattro, cercando di restare ancorati ai fatti e, quando possibile, ai dati, e senza indugiare sul resto.
 
Lo «stratagemma» della Serenissima.
All'origine della forzatura dell'Autostrada Brescia-Padova spa (la «Serenissima»), titolare della concessione della A31, che nel febbraio del 2010 ha pubblicato in Gazzetta Ufficiale il bando di gara per la predisposizione dei progetti preliminare e definitivo dell'opera, c'è, come è noto, la necessità di rispettare le condizioni poste dallo schema di convenzione con l'Anas, per giustificare così il prolungamento della concessione della stessa Serenissima dal 2013 al 2026. Insomma, è stata una forzatura dettata, potremmo dire, dall'istinto di sopravvivenza della società. Lo stesso istinto che l'aveva portata a individuare un pertugio, nelle fitte maglie della legislazione di settore, in cui infilarsi per strappare una proroga della concessione evitando la gara pubblica. Quel pertugio era, per l'appunto, la Valdastico nord.
 
Quando, nel dicembre del 2007, il governo sottopose all'ottava commissione permanente dei lavori pubblici del Senato quello schema di convenzione, i commissari di palazzo Madama misero nero su bianco le loro perplessità proprio sul punto più importante. Sul fatto, cioè, che il prolungamento della concessione venisse collegato non alla scadenza di un piano finanziario ma al completamento del tratto nord della A31. Questo meccanismo era definito, o meglio bollato, per quello che è: uno stratagemma, che avrebbe portato, si legge nel resoconto dei lavori della commissione, a «una elusione delle regole della concorrenza, che vogliono che si esplichi tra i concessionari una contesa per il mercato». La commissione concludeva proponendo quindi lo stralcio della Valdastico nord. Così non è stato, e la Serenissima, ovviamente, procede a spron battuto su quella strada. Ma non può essere il Trentino a pagare il conto per un banchetto di altri. Niente furbate, insomma, soprattutto se a nostro danno.
 
La tutela dell'autonomia.
La seconda ragione che ci dovrebbe spingere a dire «no» alla Valdastico è ancora più importante. È una ragione di principio. I soci della Brescia-Padova, come abbiamo visto, hanno orchestrato il loro giochetto senza tener conto del Trentino (e, per la verità, nemmeno del Suditirolo, perché i tir non si fermerebbero a Salorno), dell'equilibrio del suo territorio, della sua autonomia e delle sue prerogative costituzionali. Tra le quali spicca, è bene ricordarlo, la potestà legislativa primaria in materia urbanistica, viaria, di assetto del territorio, di tutela ambientale e di opere pubbliche. Lo ha ribadito, con parole chiarissime, proprio la Corte Costituzionale, che nel giudizio per conflitto di attribuzioni tra enti promosso dalla Provincia autonoma di Trento, ha riconosciuto che «nessun organo o soggetto riconducibile allo Stato - e quindi la stessa Anas - può procedere alla realizzazione dell'opera suddetta senza acquisire preventivamente l'intesa della Provincia autonoma di Trento».
 
Subire l'affondo della Serenissima significherebbe rinunciare alle prerogative dell'autonomia. Significherebbe aprire un varco, creare un precedente pericoloso, scalfire l'architettura di un'autonomia oggi più che mai sotto attacco. Paradossalmente, se anche il Trentino fosse convinto della necessità e dell'utilità di quel collegamento autostradale, dovrebbe dire comunque «no», perché subirne in questo modo la realizzazione avrebbe, in prospettiva futura, un prezzo troppo alto. È curioso, inoltre, che si decida di collegarsi a un'autostrada senza coinvolgere nel progetto i territori coinvolti, cercando di farla franca in barba alla «leale collaborazione» richiamata, ancora una volta, dalla Consulta. Che poi ci sia un'intera forza politica, la Lega Nord, impegnata con la propria delegazione parlamentare trentina in un martellante lavoro di lobbying a favore della Brescia-Padova, guidata dal leghista Attilio Schneck, è particolarmente grave. Perché non è del tutto chiaro a chi, o a quali interessi, risponda tutto questo attivismo.
 
I costi ambientali.
Una delle argomentazioni più spesso addotte a favore della Valdastico nord è che la nuova autostrada darebbe uno sfogo alternativo al traffico proveniente dal Nordest, liberando la già intasata arteria della Valsugana. I flussi di traffico dicono il contrario. Sappiamo che alle porte di Trento transitano ogni giorno, in media, 40 mila veicoli, mentre il traffico della valle si attesta sui 13-14 mila veicoli giornalieri. La stragrande maggioranza del traffico, dunque, è di origine domestica, e la Valdastico non avrebbe nessun impatto su di esso. Sono numeri stranoti, ma vengono ostinamente ignorati dal partito pro Valdastico, che gioca sulle paure di un territorio.
 
Certo, la situazione è destinata a mutare radicalmente, visto che il Veneto ha avviato due opere rilevantissime, la Pedemontana veneta fra Treviso e Vicenza, e la Valsugana est fra Cismon e Castelfranco Veneto. Sono opere destinate a cambiare la natura stessa della Ss 47, che verrà investita da un volume ancora maggiore di traffico. Un problema in più, a cui dovrà essere data una risposta, e la risposta non potrà che passare per il potenziamento della linea ferroviaria (soprattutto per togliere i pendolari dalla strada) e un forte disincentivo al trasporto delle merci su gomma. E ancora: i flussi di traffico generati da queste arterie finirebbero, ovviamente, per riversarsi in A22. Sarebbe il collasso. Di fronte a questa obiezione, il presidente della Serenissima, Attilio Schneck, si è limitato a una battuta: allargatevi a tre corsie.
 
Sappiamo che, per la conformazione del territorio e per le caratteristiche del tracciato, in particolare a nord di Bolzano, questa soluzione è impraticabile. Non solo: i costi ambientali di questo scenario sono stati del tutto ignorati. L'idea che il futuro e la prosperità della nostra terra dipenda dal diventare il collettore del traffico del Nordest è vecchia e di corto respiro. Pensiamo alla Svizzera, che ha inserito la tutela delle Alpi dal traffico pesante nella propria Costituzione, o all'Austria, che da anni combatte una battaglia coraggiosa e solitaria per la difesa del proprio territorio.
 
Il traffico tra gomma e ferrovia.
C'è un'ultima, potente controindicazione. Avere di fatto tre autostrade aperte in Trentino (A22, A31 e nuova Valsugana), due delle quali finirebbero per bypassare lo scalo intermodale di Verona, sarebbe una palese contraddizione con la scelta, quella sì strategica e ormai consolidata, di realizzare il tunnel del Brennero. Un progetto transeuropeo da miliardi di euro, che verrebbe clamorosamente sconfessato se passasse la linea dell'asfalto. Gli azionisti dell'A22, cioè noi cittadini, in ultima istanza, hanno per anni rinunciato a lauti dividendi nel nome di una speranza, quella di togliere i Tir, o parte di essi, dalle strade. Se lo abbiamo fatto per aprire un'altra autostrada, abbiamo sbagliato tutto.
 
Questo, insomma, è il conto che il Trentino dovrebbe pagare. Ma perché dovremmo farlo? Tra le tante risposte proposte in anni di dibattiti, la più realistica resta questa: perché la società Brescia-Padova possa incassare una lunga proroga della concessione e i suoi azionisti, parimenti, possano incassare ricchi dividendi. Ma è una risposta che non ci può soddisfare. Non ci resta che resistere, ispirandosi proprio a quello che della Repubblica Serenissima fu il motto: «prudentia et fortitudo», saggezza e forza di carattere.

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