Pd trentino, le primarie pagliacciata

Una cosa gli elettori del Pd trentino hanno ormai capito con chiarezza: non contano assolutamente nulla. Almeno per la dirigenza del loro partito

di Pierangelo Giovanetti

Una cosa gli elettori del Pd trentino hanno ormai capito con chiarezza: non contano assolutamente nulla. Almeno per la dirigenza del loro partito.
Il «patto dei perdenti» stilato ieri sera in assemblea dai due sconfitti alle primarie per la segreteria, per far fuori chi è arrivata prima al voto popolare, la dice lunga su quanto valgono le primarie per il Partito democratico trentino. Nulla. Niente di niente. Semplicemente una pagliacciata per gettar fumo negli occhi agli elettori. Tanto le decisioni le prendono gli apparati, i grandi vecchi che orchestrano i giochi, i pupari che - invece di occuparsi della vergogna dei vitalizi (anzi, magari di restituire il maltolto incassato) - si preoccupano soltanto di silenziare il dibattito, come hanno fatto durante la campagna per le primarie, chiedendo ai candidati di non toccare l'argomento.
Dopo l'accordo di ieri sera, al di là del giudizio sulle persone, è ufficiale. Le primarie del Pd sono solo una presa in giro. In realtà la dirigenza non ci crede, le sopporta a fatica, le aggira furbescamente non appena può (le fa a San Silvestro, o stabilisce che per votare bisogna avere cromosomi di sinistra da almeno due generazioni).
Insomma, gli elettori sono un qualcosa di fastidioso, di cui purtroppo non si può fare a meno, ma è meglio neutralizzare in tutti i modi possibili. Magari anche negando l'aritmetica: e cioè che il primo che arriva è il vincitore.
Può darsi che a Roma soffi un vento nuovo nella politica e nel partito democratico, ma certamente a Trento non è mai arrivato.
Di rinnovamento, in un accordo che sa tanto di vecchio e ammuffito doroteismo, non c'è proprio nulla.
Semmai è il prologo dell'ennesima gestione consociativa del partito.

 La stessa che negli anni passati ha dimostrato tutto il fallimento di una conduzione-melassa, senza mai prendere decisioni e indicare rotte chiare e comprensibili anche agli elettori, ma dicendo tutto e il contrario di tutto, facendo il partito di lotta e di governo, senza una linea e una bussola precisa che possa servire anche per coloro che sono in giunta provinciale.
Come si concilieranno le posizioni di Scalfi per l'abolizione delle Comunità di valle, e quelle invece di Pinter-Robol per il loro mantenimento?
Come si sposeranno le idee movimentiste di Civati con la nomenklatura del partito che ha sigillato l'intesa? Come si armonizzereranno le opinioni così diverse, per come sono apparse in campagna elettorale, fra Vanni Scalfi e Giulia Robol, sulla coalizione, i costi della politica, il rapporto con gli alleati, il partito territoriale?
Probabilmente assisteremo all'ennesimo compromesso al ribasso, senza ottenere una posizione chiara. O forse, l'unica posizione chiara sarà quella dell'immobilismo, cioè del non cambiare nulla, sperando che a Roma Matteo Renzi fallisca, e quindi tutto torni come prima.
Il messaggio che esce ancora una volta dal Pd è che gli apparati contano più del voto popolare, inteso solo come un ostacolo. Proprio il messaggio giusto di fronte ad una delle peggiori crisi di legittimità dei partiti in Trentino dopo la vergognosa porcata dei rimborsi milionari. Chapeau.
p.giovanetti@ladige.it

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