Solo la tolleranza può cambiare il mondo
Solo la tolleranza può cambiare il mondo
Le parole tolleranza e libertà assumono in questi giorni un significato particolare. Purtroppo sono parole abusate, che corrono il rischio di perdere smalto se rimangono astratte senza calare nei fatti. Per questo è particolarmente importante che i giovani vadano a sbattere contro testimonianze che fanno male, così da rendersi conto della realtà, quella che non sempre viene fuori dai libri di storia destinati sì alla conoscenza, ma non sempre alle emozioni e al coinvolgimento. Domani ricorre il settantesimo anniversario della liberazione dal campo di sterminio di Auschwitz, preso a simbolo per la Giornata della Memoria. Visite, fotografie, racconti, tutto ciò che può rendere l'idea di quegli orrori resterà in maniera più profonda impresso nella coscienza delle nuove generazioni.
Si dice che in Francia stia diventando un bestseller il «Trattato sulla tolleranza» di Voltaire che condannava il fanatismo. Meglio tardi che mai, visto che Voltaire lo scrisse nel 1763. La rivoluzione francese di lì a poco avrebbe sventolato la bandiera della «libertà, fraternità, eguaglianza» e sarebbe stata scritta la «Dichiarazione dei diritti dell'uomo e del cittadino». Oggi si rispolvera il passato sotto la spinta della recente tragedia di Parigi, ma il pericolo è che pian piano cali la tensione e che Voltaire torni sugli scaffali più nascosti delle librerie. C'è solo da sperare che la gente, colpita direttamente dalla crudeltà degli eventi, si stia rendendo conto che alcuni princìpi non devono passare mai di moda, che i diritti e i doveri devono camminare insieme e che i primi non possono sottomettere i secondi.
La strage di Parigi non può essere riassunta in uno slogan e «je suis Charlie» scritto sulla maglietta non è sufficiente se con i giovani non si avvia un dialogo serio e convincente, sopra le parti e sopra le ideologie. È assolutamente vero quello che ha scritto padre Butterini quando ricorda che «veniamo da qualche settimana di manifestazioni per la libertà, ma quanta fatica accettarla». E la tolleranza, forse che quella viene accettata più facilmente? Eppure com'è possibile prescinderne per poter convivere in pace? Sono spunti per un'approfondita discussione non accademica, molte scuole lo fanno e lo fanno anche molte famiglie, ma la società offre troppo spesso esempi che non vanno in questa direzione. Alcuni vengono sottolineati dalla cronaca con grande e giusta enfasi ed esecrazione, qualche altro con minor forza, forse perché non è avvenuto sulla porta di casa.
Basti dire di stragi lontane ma non per questo meno feroci, come quelle che stanno avvenendo in Nigeria e per le quali sono usate bambine imbottite d'esplosivo, mandate al massacro senza sapere perché quello che dovrebbe essere il loro tempo dei giochi è diventato invece il loro tempo di morire. Parlate anche di noi, sollecita l'arcivescovo Kaigama, parlate di questi massacri. La «Giornata della memoria» domani, come ogni anno, renderà ancora più vivi il rifiuto della violenza e i buoni propositi, quelli che usciranno dai discorsi ufficiali e quelli che affioreranno nel cuore di ciascuno. Ma non vorremmo rispolverare ciò che ebbe a sostenere una volta Benedetto Croce: «Una bella parola la tolleranza! Nella vita nessuno è tollerante, perché ognuno ha qualche cosa da difendere. E se non innalziamo più dei roghi è perché i nostri costumi non lo consentono più». L'intolleranza però ha trovato subito altri orribili modi per non abbandonare il campo e per diventare la nutrice di guerre, conflitti e massacri, dei quali sembra che l'uomo abbia perenne nostalgia.
sandra.tafner@gmail.com