Pesticidi, un problema sempre più politico

Pesticidi, un problema sempre più politico

di Michele Corti

In Italia, ma in modo particolare in Trentino-Alto Adige, il dossier pesticidi è diventato un problema politico di primaria importanza.
In parte ciò è dovuto al fatto che negli ultimi anni si sono accumulati risultati inconfutabili che mettono in relazione l’esposizione di categorie professionali e di residenti di aree agricole ai pesticidi con una maggiore incidenza di gravissime patologie (non solo tumorali ma anche neuro-degenerative, metaboliche, della sfera comportamentale).

Ciò che spaventa maggiormente è la compromissione della salute per i nascituri esposti nel grembo materno al cocktail di sostanze chimiche ma anche – e questo è veramente drammatico – per le generazioni future (attraverso l’influenza negativa delle sostanze chimiche sulla linea germinale che produce spermatozoi e ovociti).

Il parlamento europeo nel 2013, a proposito degli interferenti endocrini, ha ritenuto che

«il principio di precauzione, conformemente all’articolo 192, paragrafo 2, del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (Tfue), imponga alla Commissione e ai legislatori di adottare misure adeguate che consentano di ridurre, ove necessario, l’esposizione umana a breve e lungo termine agli interferenti endocrini».

Non solo, ma ha anche dichiarato che:

«attualmente non esistono basi scientifiche sufficienti per fissare un valore limite sotto il quale non si manifestano effetti avversi per cui gli interferenti endocrini dovrebbero essere considerati sostanze senza “senza soglia”, e che qualsiasi esposizione a tali sostanze può comportare un rischio, a meno che il produttore non possa dimostrare scientificamente l’esistenza di una soglia, tenendo conto della maggiore sensibilità durante le finestre critiche dello sviluppo e degli effetti delle miscele (la Relazione integrale)».

Il problema del danno alla salute (non solo degli esseri umani ma anche di animali, piante e ogni forma vivente) è un problema mondiale. Così come riguarda tutto il mondo la questione politica connessa con l’uso dei pesticidi. Tale uso è legato al potere delle multinazionali della chimica, che sono le stesse delle sementi e del biotech (Ogm), a loro volta connesse alle multinazionali che commerciano le principali commodities agricole (cereali, soia).

È questo assetto di potere mondiale che controlla il «regime agricolo», quello che si condensa in una formula molto semplice: elevati input chimici ed energetici, bassi, bassissimi prezzi delle derrate agricole (a vantaggio delle multinazionali dalla trasformazione alimentare). Ma anche crollo di biodiversità e avvelenamento della terra e delle acque (denunciati molto di recente anche da Papa Francesco).

Il sistema che sottrae buona parte del valore aggiunto ai contadini del mondo è puntellato dai «sussidi» che tutti i paesi, in forme diverse, concedono ai produttori agricoli, per tenerli in piedi, ma di fatto «girandoli» alle multinazionali. Rompere queste catene significa liberare l’agricoltura, ma anche liberare l’umanità che sta regredendo ad una massa senza capacità di controllo sulla propria vita (spinta dalla manipolazione mediatica a consumare ciò che è conveniente alle multinazionali, ovvero cibi ultra manipolati, non nutrienti, ottenuti dai soliti ingredienti di base).

Il 17 febbraio un comunicato delle associazioni ambientaliste (tutte le più importanti) e dell’agricoltura biologica  a proposito della «nuova» Pac (la solita minestra riscaldata) ammoniva che:

«Il rischio è che le multinazionali della chimica continuino a condizionare l’applicazione delle politiche europee nel nostro Paese e la destinazione di miliardi di euro di soldi pubblici che verranno spesi da qui al 2020 con l’applicazione della Pac, la politica agricola comunitaria. La stessa nuova programmazione dei Programmi di Sviluppo Rurale dalle Regioni per le misure agro-ambientali rischia di essere destinata sempre più a pratiche agronomiche che prevedono l’uso massiccio di pesticidi. Bisogna invece favorirne la reale riduzione principalmente attraverso la conversione al biologico, premiando quelle aziende agricole in grado di fare a meno dei pesticidi e che producono benefici per tutti: cibo sano, tutela dell’ambiente e della biodiversità agricola e naturale». 

L’elevato consumo di pesticidi in Italia e in Trentino Alto Adige pone problemi politici particolari, non diversamente da altre zone del mondo dove si concentra l‘uso dei pesticidi come la California.

Innanzitutto va sfatata la «giustificazione» che l’Italia (e il Trentino Alto Adige in primis) consumerebbero più pesticidi perché caratterizzate da una maggior diffusione di colture legnose specializzate (viticoltura, frutticoltura). Questa osservazione lapalissiana non spiega tutto. Se si scorrono le relazioni annuali di Legambiente («Pesticidi nel piatto») si osserva invariabilmente che le mele con più residui sono quelle di Bolzano e di Trento, dove si pratica la melicoltura più intensiva.

Le mele sono la categoria di frutta con più residui di pesticidi (non solo in Italia). Un «regalo» della diffusione di varietà suscettibili alle avversità biotiche ma molto produttive, serbevoli e «commerciabili».

Sarebbe una manna consumare mele invece che junk food ma... il rapporto 2011 di Legambiente riferisce che in media in Italia il 46% delle mele analizzate presenta residui di più pesticidi. Il record era detenuto da Bolzano con l’88% dei campioni, mentre in Trentino ci si attestava «solo» al 67%. In altre regioni dove si coltivano mele le percentuali erano nettamente più basse e scendevano al 38% in Piemonte e al 20% in Lombardia, Veneto e Valle d’Aosta.

Non solo ma in Trentino si trattano le mele con  uno dei prodotti ritenuti più pericolosi in quanto  interferente endocrino: il Clorpirifos (già bandito sugli oliveti e oggetto di limitazioni in particolare in Puglia ma anche a livello nazionale).

Nelle Norme tecniche «difesa integrata» 2014 l’uso di Clorpirifos è previsto in Trentino contro 5 categorie di insetti, 3 in Lombardia e Veneto, 2 in Piemonte.

Non si può poi non richiamare il fatto che, in forza di questi tristi record del Tentino Alto Adige, si è innescata una forte - anche se per certi versi sotterranea - conflittualità che ha visto alcuni comuni dell’alta val di Non introdurre regolamenti restrittivi dell’uso dei pesticidi fortemente contestati dei melicoltori e dalla Coldiretti ma sostanzialmente avallati da una sentenza del Tar di Trento e il Comitato per la salute della val di Non intraprendere azioni forti (quali quelle di monitoraggio indipendente dei residui di pesticidi nelle urine).

La «ribellione» nonesa ai pesticidi ha contagiato la val Venosta dove a Malles, un referendum antipesticidi ha raccolto il 72% dei consensi. La mancata ratifica in sede di statuto comunale dei risultati del referendum ha rappresenta uno schiaffo non solo al sindaco e all’elettorato ma anche alla stessa democrazia. Alcuni consiglieri comunali hanno tradito i loro concittadini assentandosi o astenendosi nella votazione. Un vulnus che pesa e che fa capire anche a chi sinora ha sottovalutato la valenza sociale, civile e politica del problema pesticidi  quanto pesino sulla vita locale e provinciale in Trentino e in Alto Adige gli interessi di un sistema di agricoltura chimica-dipendente che è il locale terminale si un pericoloso potere globale sulle vite di miliardi di esseri umani. Altro che problema politico! È il caso di continuare a mettere la polvere sotto il tappeto?

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