Salvini e la destra allontanano i moderati
Salvini, leader della destra
Matteo Salvini è sempre più leader di un centrodestra, o meglio di una destra, che cresce nel suo essere radicale. Gli attacchi all'albergatore dell'Hotel Nevada, «reo» di voler ospitare i profughi, non rappresenta un autogol del capo leghista, ma uno dei tanti episodi di una strategia politica che guarda a Marine Le Pen, a Casa Pound, ai valori e al «linguaggio del corpo» della destra tradizionale.
È il Salvini «fascioleghista», come è stato dipinto dagli avversari che forse lo stanno sottovalutando? Piuttosto è il leader al momento incontrastato di un centrodestra che coglie la rabbia crescente degli italiani, la tremenda paura che colpisce singoli e corpi collettivi, la ribellione istintiva verso un flusso di immigrati che in realtà non rappresenta alcuna «concorrenza» agli italiani nell'erogazione del lavoro (che non abbonda di certo) o di servizi sociali e assistenziali.
Salvini, quindi, si veste sempre più da leader del centrodestra ma lo fa spostandosi a destra. E se l'«altro Matteo» fa il post-leghista e domina il polo dei conservatori che non si riconoscono in Matteo Renzi, gli effetti sono molteplici. Prima di tutto un passaggio va riservato alla trasformazione di una Lega passata dal federalismo (di più, dalla Padania e dall'indipendenza dal resto d'Italia) all'unità nazionale, alla piazza di Roma, alle felpe sui marò e all'abbraccio con i fratelli d'Italia. Una metamorfosi che l'elettore medio della Lega sembra aver digerito di buon grado, transitando dai «vaffa» di Bossi all'Alleanza nazionale di Giorgia Meloni. I soli problemi interni Salvini se li trova infatti con il sindaco di Verona Flavio Tosi, legati in maniera esclusiva alla gestione della campagna elettorale in Veneto: Tosi puntava a presentare una lista in proprio a sostegno di Zaia, in modo da eleggere alcuni consiglieri che poi avrebbero avuto potere di veto per tutta la legislatura nei confronti del governatore e conseguente accesso agli assessorati più ricchi del Veneto, ad iniziare dalla Sanità, dominio tosiano da lunghi anni. Da Venezia a Verona passando per Treviso, una situazione non certo da sottovalutare (se Tosi si candida a presidente rischia di togliere voti fondamentali a Zaia, forse di far vincere la Moretti), ma che non riguarda molto la linea politica della «nuova» Lega e del centrodestra.
Torniamo quindi agli effetti creati dalla leadership di Salvini versione Le Pen. La coalizione che per vent'anni ha sostenuto Berlusconi oggi non c'è. Lo stesso Cavaliere è a fine corsa. Forza Italia è trafitta da lotte per bande, con i fedelissimi dell'ex re Silvio incapaci di trovare un erede al grande capo e di proporre una linea politica in «esclusiva»: in questa legislatura Forza Italia si è fatta «vedere» solo in relazione al Patto del Nazareno e cioè assieme a Renzi, non in alternativa al presidente del Consiglio. Forza Italia deve quindi uscire da questo tunnel apparentemente senza fine: se fa proposte moderate gioca a favore di Renzi, se si consegna a Salvini allontana i propri elettori meno radicalizzati.
Il dato politico più importante dell'affermazione di Salvini è che in questo modo il centrodestra si consegna all'anti-governo, ad una opposizione pura e «rabbiosa», anche cattiva ma pur sempre opposizione. Difficile cioè vincere le elezioni con una serie di proposte obiettivamente irrealizzabili, come la tassazione al 15% (se fosse possibile quale governo non la metterebbe in pratica?) o l'uscita dall'Euro e il ritorno alla Lira. Se le condizioni sono queste, Salvini rischia di rappresentare il miglior alleato di Matteo Renzi, destinato a coprire sempre più l'area dei centristi e a intercettare anche la destra moderata. Sia chiaro peraltro che i voti sono del centrodestra sono ancora lì, e basterebbe «cambiare rullino e non gli alleati» (come ha ricordato il direttore del «Foglio», Claudio Cerasa) a Berlusconi per ridare slancio a quell'elettorato. Si deve partire da un dato di fatto, e cioè che nel punto più basso della storia recente del centrodestra (le Europee di maggio 2014), la coalizione ha pur sempre ottenuto otto milioni di voti, che sono tantissimi. Ma questi elettori non possono essere attratti solo dal no all'Euro, dalla cacciata dei profughi e dalle colorate felpe salviniane.