Guide Alpine e Cai, una sinergia possibile?

Guide Alpine e Cai, una sinergia possibile?

di Alessandro Beber

Ho iniziato ad arrampicare frequentando un corso primaverile presso la Scuola Graffer di Trento, poi alcuni anni dopo ho deciso di rimanere vicino alla mia passione per la montagna sostenendo gli esami per diventare Guida Alpina.
Negli anni ho appreso che in Italia, Trentino compreso, tendenzialmente non corre buon sangue tra le rispettive istituzioni del Club Alpino e quello delle Guide. Mi sono interrogato a lungo sulle motivazioni, ma non ne ho mai trovate di soddisfacenti.

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Sembra che la bega sia iniziata più di un secolo fa, quando l’alpinismo era considerato un’attività d’élite riservata all’alta borghesia e agli aristocratici, i quali giudicavano riprovevole monetizzare l’attività di accompagnamento in montagna. In quel contesto erano infatti nate le prime Guide Alpine, solitamente dei valligiani con conoscenza specifica della zona che si mettevano a disposizione dei «signori» per indicare le vie di accesso alle cime o per portare i carichi di queste prime rudimentali spedizioni.

Ma l’intellighenzia all’interno dei Club Alpini nazionali, che pur talvolta usufruiva dei servigi delle Guide, volle tenere ben distinte le cose, sentenziando che il denaro era questione troppo vile da mischiarsi con la purezza d’intenti del vero alpinismo, e gettando così le basi di una scissione che perdura ancora oggi. Ovviamente ne è passata di acqua sotto i ponti, il mondo e la società sono cambiati, ma questo malcelato contrasto non è ancora pienamente superato.

Tanto per fare un esempio, le Guide Alpine in quanto «professionisti», tuttora non sono ammesse all’interno all’interno dell’Accademico, una sorta di circolo che riunisce gli alpinisti di punta al quale si accede per meriti sul campo, anzi in parete. Peccato che nel frattempo (ormai 50 anni fa, a dire il vero...) siano subentrate le sponsorizzazioni, che permettono ad alcuni di dedicarsi alle scalate in cambio del rientro pubblicitario fornito alle aziende tramite le proprie imprese, ma questa eventualità non è stata giudicata in contrasto con i valori del Cai...

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Da parte loro le Guide spesso accusano il mondo del volontariato di sottrarre un parte importante del loro bacino d’utenza e quindi si ritengono penalizzati nell’esercizio del proprio lavoro, posizione altrettanto curiosa perché è come se i giornalisti lamentassero un attacco da parte della scuola che insegna a leggere e scrivere a tanti studenti, pretendendo l’esclusiva su tutto ciò che concerne la parola.

Io credo che basterebbe gettare lo sguardo poco lontano, oltralpe ad esempio, dove nelle istituzioni del Dav tedesco e dell’Alpenverein austriaco, il mondo dell’associazionismo e quello dei professionisti convivono pacificamente ed anzi collaborano in maniera proficua.

Certo bisognerebbe un attimo rivedere le rispettive posizioni, mostrandosi disposti a riconoscere da un lato che l’opera di sensibilizzazione ed avvicinamento alla montagna operata all’interno degli ambienti Cai è un valore da preservare e una forza non sostituibile, e dall’altro che le competenze e la preparazione di persone che per lavoro in montagna passano più di duecento giornate all’anno, contano qualcosa e anzi possono rappresentare un valore aggiunto.

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Tornando alla realtà trentina, certo molte sezioni della Sat collaborano da tempo e in maniera proficua con le guide alpine, anche per un discorso di alleggerimento delle responsabilità che oggigiorno diventano sempre più pesanti e risultano difficilmente sostenibili da chi sta prestando con passione la propria opera di volontariato (e non vorrebbe ritrovarsi imputato!), ma sarebbe bello ricevere in questo senso un segnale da parte dei vertici istituzionali, che sdoganasse una collaborazione naturale tra due realtà animate in fondo dalla stessa motivazione, ovvero uno smisurato amore per la montagna.

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