Il monito delle vittime di Stava

Il monito delle vittime di Stava

di Graziano Lucchi

Significativa è l’iniziativa dell’Adige per ricordare le vittime di Stava di offrire l’enciclica di papa Francesco «Laudato si’» contro «lo sfruttamento sconsiderato della natura». In calce al lungo elenco con i nomi delle 268 vittime del disastro di Stava troviamo scritto: «La loro perenne memoria sia di monito perché la superficialità, la noncuranza, l’approssimazione, l’incuria, l’interesse non debbano più prevalere sulla cura per l’uomo, la sacralità della vita umana, la coscienza delle personali responsabilità».
I nomi delle 268 vittime del disastro di Stava sono racchiusi nella lapide in cristallo che fu benedetta da papa Giovanni Paolo II in occasione del suo pellegrinaggio a Tesero e a Stava il 17 luglio 1988 e che conserviamo nella chiesetta di Stava. Lo abbiamo ripetuto in questi trent’anni in ogni occasione.

«Nella vicenda di Stava si può ravvisare la prevedibilità del crollo che sarebbe dovuta essere chiara se l’incultura degli operatori non avesse interagito con l’imperizia, la negligenza, l’imprudenza, la superficialità, l’ignoranza, l’assenza di consapevolezza, il mancato rispetto delle norme, le omissioni nei controlli». Lo scrive il Giudice Istruttore nella sentenza-ordinanza di rinvio a giudizio.
A Stava negli oltre vent’anni durante i quali si è generata la catastrofe e anche dopo sono prevalsi la superficialità, la noncuranza, l’imprudenza, l’incuria, l’interesse, l’assenza di consapevolezza. La vicenda di Stava è racchiusa tutta in poche parole: presunzione, arroganza e sudditanza.

Presunzione e arroganza da parte dei vertici aziendali delle società che hanno avuto in gestione la miniera di Prestavèl che hanno costruito l’impianto di trattamento del minerale «in una zona di perfetta funzionalità», dal punto di vista economico, e che, pur consci che il terreno era il meno adatto, hanno impostato la discarica nel posto peggiore, dal punto di vista tecnico. Vertici aziendali che, dieci anni prima del crollo, consci della situazione di stabilità della discarica «al limite», hanno tuttavia proseguito nel suo ampliamento.
Sudditanza da parte delle autorità locali che, nei primi anni ’60 del secolo scorso, hanno favorito l’attività mineraria nel nome dell’industrializzazione della zona di Stava, «destinata ad arrecare progresso sociale ed economico».
Sudditanza da parte dei dipendenti tecnici delle società concessionarie che si sono piegati alle scelte economiche dei vertici aziendali, scelte che non avrebbero dovuto accettare per non tradire la loro professionalità. Dipendenti tecnici che non hanno rivendicato la dignità della loro professionalità. Sudditanza da parte dei dipendenti pubblici preposti all’autorità di controllo sull’attività mineraria che hanno riposto fiducia cieca e assoluta nella società concessionaria e hanno tradito il mandato che la collettività affidava loro per la tutela dai pericoli di cui l’attività mineraria è foriera.

Arroganza da parte degli imputati e dei responsabili civili del cosiddetto «gruppo Montedison» che si sono difesi in giudizio sostenendo che il crollo era dipeso dal fatto che le discariche non erano state sottoposte a controlli da parte dell’Autorità competente. In altre parole: «non è colpa nostra che abbiamo costruito male, è colpa di chi doveva controllare e non ha controllato».
Arroganza e presunzione da parte di uno fra i maggiori responsabili del disastro, che non ha chiesto la revisione del processo e ha accettato quindi la sentenza di condanna, ma che a parole si è sempre definito un capro espiatorio. Arroganza da parte di un estimatore di questo imputato condannato, uno fra i responsabili del più grave disastro minerario avvenuto in Italia, che non esita a scrivere negli atti di un convegno scientifico pubblicati due anni or sono che egli «ha dovuto sopportare le conseguenze della tragedia di Stava per colpe oggettivamente non sue». Arroganza e mancato rispetto della memoria di chi davvero ha dovuto sopportare le conseguenze della tragedia di Stava e ha subito, pagando con la vita, le conseguenze delle azioni e omissioni colpose penalmente rilevanti di questo imputato e degli altri nove condannati in solido con lui per i reati di disastro colposo e omicidio colposo plurimo.

Arroganza e presunzione di chi ha rimproverato agli abitanti di Stava e della valle di aver costruito le case sotto le discariche, come se quelle case non fossero state costruite ben prima che la discarica fosse impostata e costruita a monte di Stava e della valle, come se quelle case siano state distrutte per colpa di chi le ha costruite. Arroganza, superficialità e presunzione di chi ha rimproverato agli abitanti di Stava e della valle di non essersi preoccupati della sicurezza della discarica, come se gli abitanti di Stava e della valle non avessero avuto il diritto di vivere sicuri e tutelati nelle loro case, come se chi le discariche le ha costruite non avesse dovuto costruirle bene, come se chi aveva l’obbligo di controllarle non avesse dovuto controllarle.
Non ci stancheremo di ripetere l’appello affinché la superficialità, la noncuranza, l’approssimazione, l’incuria, l’interesse, l’arroganza e la presunzione non debbano prevalere sulla cura per l’uomo, la sacralità della vita umana, la coscienza delle personali responsabilità.

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