Nuovi criteri icef per l’assistenza domiciliare
Da luglio cambierà l’Icef (Indicatore della condizione economica familiare) per i servizi socio-assistenziali, l’assistenza domiciliare, i pasti a domicilio e la teleassistenza. Da ora in poi nel calcolo oltre al reddito si terrà conto anche del patrimonio del nucleo familiare. Sono previsti due parametri di salvaguardia: una franchigia di 150 mila euro sulla prima casa e una di 50 mila euro sul patrimonio finanziario. I nuovi criteri, come ha spiegato l’assessora Borgonovo Re, sono finalizzati a rendere sostenibile la quota di partecipazione alla spesa pubblica dei cittadini rendendo ancor più equo l’accesso ai servizi.
Questi adeguamenti sono già stati introdotti nel resto d’Italia. Al sociologo Nadio Delai, autore di numerose pubblicazioni, abbiamo chiesto: quali sono le ragioni di questi cambiamenti?
Mi sembra naturale che un passo dopo l’altro si cerchi di far quadrare il cerchio tra una richiesta di assistenza destinata a crescere significativamente nel tempo e una tendenza opposta verso la riduzione progressiva delle risorse pubbliche. Per avere un ordine di grandezza, nei prossimi venti anni è prevedibile che la domanda di assistenza aumenterà del 50% rispetto al 2010. Quindi anche se la spesa per questi servizi da parte della Provincia rimanesse invariata – e va sottolineato che il Trentino spende per l’assistenza tre volte rispetto alla media nazionale – sarà comunque insufficiente a soddisfare tutti i bisogni.
Rispetto ai cambiamenti dell'Icef, cosa pensa della modalità adottata in Trentino?
L’aspetto più importante e serio quando si interviene nel sociale è la sperimentazione. In questo caso ci saranno 18 mesi a partire dal 1 luglio e poi si potrà fare un bilancio. Accettabili e sensate sono anche le franchigie stabilite nella valutazione del patrimonio, che nonostante i tanti se e i tanti ma, permette di avvicinarsi il più possibile alla situazione economica reale. Detto questo, viviamo più a lungo, di fronte all’aumento dei bisogni i rapporti tra chi paga e riceve non possono essere come quelli di una volta. All’inevitabile processo di riduzione del welfare pubblico deve corrispondere una crescente responsabilità e impegno da parte delle famiglie.
Basterà questa misura?
La strada è tracciata per sperimentare nuove forme di contribuzione. Stiamo cambiando il modo di vivere e il cambiamento riguarda tutti e tutto, anche il welfare. Certo in Trentino, rispetto alla media nazionale, il welfare garantisce livelli di tutela molto più elevati, ma si dovranno comunque inventare forme di sostegno alternative. Si pensi che un posto letto in una RSA trentina costa 55mila euro l’anno, di cui le famiglie ne pagano mediamente 15mila e la solidarietà collettiva il resto. L’assistenza a domicilio mediamente costa 25mila euro l’anno a persona, di cui 20mila a carico del pubblico. Da un confronto tra queste cifre e il progressivo aumento di domande di assistenza, non può che derivare una forma di razionalizzazione.
Cosa altro si può fare?
Il welfare ha bisogno di cambiare, di cooperare e proteggere i bisogni della società reale. Innanzitutto è necessario impostare un sistema di dati ad personam legato al codice fiscale da utilizzare per garantire equità; ad oggi i dati si basano sull’offerta di servizi e non sul percettore. Un altro passo obbligatorio è verso un welfare allargato, verso l’integrazione - non accostamento o sostituzione - di soggetti e risorse: di tipo pubblico, privato-aziendale e interaziendale, mutualistico-cooperativo, privato individuato e familiare. Occorre guardare a che cosa accade fuori: ci sono casi meno esemplari del nostro, per esempio il sistema pensionistico in Francia, ma anche realtà come la Danimarca, dove è collaudato un modello di welfare con un forte accordo tra pubblico e privato.
di Laura Ruaben