L'Europa si salva con la giustizia sociale
L'Europa si salva con la giustizia sociale
Un misto di disinformazione e disumanità verniciato di moderazione. Tipico della politica più pericolosa. Norbert Hofer, il candidato dell’estrema destra austriaca che domenica scorsa ha stravinto col 35,1 % il primo turno delle elezioni presidenziali austriache, si rivela ancora una volta per quello che è nelle dichiarazioni e nelle interviste del giorno dopo.
Sorrisi, cortesia, finta ragionevolezza, un crocifisso di legno in tasca, la pistola nell’altra. Dice che lui è con Dio, il Dio cristiano. Ma il Dio cristiano sarà con lui? Mai una parola di pietà per tutti quegli infelici annegati nel Mediterraneo. Fino al dicembre 2014 le Nazioni Unite ne avevano contato 22.804. Nel 2015 altri 3700. Nei primi quattro mesi di quest’anno altri 1.200. Siamo a quasi 30.000 profughi annegati: una strage immane. Una intera, graziosa cittadina austriaca ingoiata dai flutti del mare.
Ma tutti quei poveri esseri umani, con la loro storia, le loro sofferenze, le loro speranze non esistono per il moderato e devoto Hofer. Non ne fa parola. Neanche a Elena Tebano che l’ha tiepidamente intervistato per il «Corriere della sera» (mercoledì 27 aprile). «Non siamo l’ufficio di assistenza sociale del mondo», aveva detto nel comizio finale. Non è mica lui il custode di quegli infelici. I profughi che muoiono non esistono per lui e quelli che vengono salvati e approdano in Italia o in Grecia sono un affare che riguarda Italia e Grecia. «I rifugiati devono rimanere nel primo territorio sicuro in cui arrivano»: così prevede l’accordo di Dublino, ribadisce al «Corriere» Hofer, e così deve restare. Schengen si può cambiare, Dublino no. L’Italia si tenga i profughi che arrivano lì. È affar suo. La Grecia pure. Sono affari loro. Noi ci prenderemo i profughi che vorremo. Se, come, quando lo vorremo.
Ecco: ciascuno in Europa ci sta come vuole. La solidarietà tra le nazioni europee è sostituita dall’interesse nazionale a prendere solo i vantaggi dell’Unione e a rifiutarne le responsabilità. Non ci sono doveri, solo diritti per i nazionalisti. Non ci sono valori, solo interessi. Non ci sono principi, solo convenienze. Ecco dove è finita l’Europa.
Il successo di Hofer e la clamorosa sconfitta dei socialdemocratici e dei cristiano popolari, i due partiti al governo, erano stati previsti dai sondaggi più attenti, così come l’avanzata del candidato dei Verdi, Alexander Van der Bellen (ne avevamo dato conto anche noi su «l’Adige» del 15 aprile). La decisione di ripristinare barriere e soldati al Brennero è stato il disperato e sciagurato tentativo dei due partiti maggiori per salvarsi dall’incombente, disastrosa sconfitta. Hanno in tal modo avallato la tesi dell’estrema destra europea che il dramma epocale dei migranti andava affrontato coi muri e i soldati. Hanno così rinunciato a una visione dell’Europa e del mondo ispirata ai valori della solidarietà e della umanità che stanno alla base della socialdemocrazia e del popolarismo cristiano. Se ai tuoi valori non ci credi tu, perché dovrebbero crederci gli altri? Un tale sbandamento non poteva che avere l’esito che ha avuto. I due partiti maggiori sono arrivati logorati al voto. Logorati da settant’anni di potere, non solo dalla questione dei migranti infelicemente gestita.
Il fatto è che la socialdemocrazia e il popolarismo cristiano sono in crisi profonda, non solo in Austria. Di fronte alla disastrosa crisi economica che, lo si dimentica troppo spesso, è il risultato del fallimento delle politiche finanziarie ed economiche ultra-liberiste ispirate alla religione del mercato e al culto dell’egoismo come motori della storia, e di fronte a drammi epocali come quello dei profughi, che sono la conseguenza di politiche di guerra e rapacità ispirate alla stessa cultura che è alla radice della crisi economica, ci sarebbe più bisogno che mai del meglio delle due grandi tradizioni politiche, la cristiano-popolare e la socialdemocratica, che hanno ricostruito e unificato l’Europa. Che hanno dato ai suoi popoli livelli di benessere e di giustizia sociale mai visti prima. Ma veniamo da anni in cui si è continuato a irridere ai valori e agli ideali in politica in nome di un realismo che è il nome nobile che si dà al cinismo, ampiamente praticato (e di cui la corruzione è un altro devastante frutto). Le due grandi tradizioni hanno finito per non credere più in quei valori in cui avevano sempre creduto e sui quali hanno ricostruito l’Europa distrutta dai nazionalismi, dai razzismi, dall’odio per gli stranieri, dagli egoismi, dal culto dei capi, dei dittatori, dei salvatori della patria. Invece di rinnovarsi si sono svendute. Invece di ripensare se stesse e il mondo si sono adeguate all’andazzo.
Ma la questione resta più che mai aperta. Perché non ci sono alternative. O si consegna l’Europa agli Hofer, agli Orban, ai Kaczynski, e sappiamo cosa c’è alla fine di questa strada, l’abbiamo già visto. Oppure si torna a credere che oggi come ieri l’unica strada praticabile è quella dell’Europa della giustizia sociale, della solidarietà, del superamento dei nazionalismi, l’Europa delle politiche di welfare che difendono i più deboli e non si arrendono ai dogmi del capitalismo, che crede nel primato del lavoro, della lotta alla diseguaglianze, dentro le nazioni e tra le nazioni. La socialdemocrazia e il popolarismo cristiano hanno il dovere oggi di ridare questa prospettiva politica ai popoli europei.
E un dramma così grande come quello dei profughi può essere affrontato solo con questa cultura politica. L’Europa ha i mezzi e le possibilità per farlo. Nel 2015 sono arrivati in Europa poco più di 1 milione di profughi, su una popolazione di 550 milioni di abitanti. Se equamente distribuiti, se i paesi che li accolgono fossero aiutati dagli altri, se si mettesse in piedi una solida politica di accoglienza che vedesse ciascuno fare la propria parte, non riusciremmo forse ad affrontare dignitosamente e senza chissà quali difficoltà questo dramma? Il piccolo Libano, meno grande del Trentino-Alto Adige, accoglie 1 milione e 300 mila profughi, tanti quanti l’Europa intera, e ha 4 milioni e mezzo di abitanti, non mezzo miliardo. Un paese che anche da un punto di vista religioso e sociale vive un equilibrio ben più precario di quello di tanti paesi europei, perché cerca di far reggere le proprie istituzioni da sunniti, sciiti e cristiani insieme.
L’Europa se vuole può fare la propria parte, senza muri e senza sconvolgimenti. Vincendo le paure con la saggezza e mettendo in campo le capacità di cui dispone. Continuiamo a sperare che anche l’Austria torni a credere in questa Europa, nei valori umani e politici che l’hanno ricostruita. E a alla quale essa stessa ha dato un contributo determinante. Hofer non ha ancora vinto il ballottaggio per le presidenziali del 22 maggio.