Suicidio del centrosinistra autonomista
Suicidio del centrosinistra autonomista
A quasi un anno e mezzo dalle elezioni comunali, il sindaco di Trento Andreatta ha preso la sua decisione: ha deciso di non decidere. Venerdì l'ennesimo rinvio di qualunque scelta capace di sbloccare la paralisi della maggioranza comunale, di fatto impantanata in una invereconda lite sulla spartizione delle poltrone fin dal giorno dopo il voto.
Dopo mesi e mesi di estenuanti riunioni, trattative, conventicole, incontri «chiarificatori», congressi di partito a cui ci si appigliava come fossero la sibilla cumana per dosare poi il bilancino degli scranni, siamo da capo: non si sa se c'è ancora una maggioranza al governo della città capoluogo, chi sono (o saranno) gli assessori, di cosa si occuperanno e con quale progetto.
Qui non si può parlare nemmeno di falsa partenza, perché ormai sono passati sedici mesi. Tutto è lasciato alla buona volontà dei singoli assessori, che portano avanti pezzi di programma per conto loro, ma non esiste un progetto complessivo visibile e percettibile dai cittadini, una regia, una guida salda che indichi il percorso, uno straccio di iniziativa politica in grado di dare alla maggioranza un senso di cammino comune e indicare l'obiettivo che si vuol raggiungere insieme.
È in atto una sorta di vero e proprio suicidio del centrosinistra autonomista, vincitore al primo turno nel maggio 2015 con il 53,7% dei consensi, che sembra aver imboccato la strada dell'eutanasia per apatia esistenziale. Tutto questo mentre nel Paese, in Trentino, anche nella città capoluogo, sta gonfiandosi un'ondata inquietante di rabbia, di astio generalizzato, di smania iconoclasta di abbattere tutto, una demagogia dilagante che si sta pericolosamente alimentando con tali scellerati comportamenti di inconcludenza politica.
Dopo mesi e mesi di «verifiche», controverifiche, vertici di maggioranza e raduni carbonari, non si è ancora capito se al fondo di tutto vi sono ragioni vere, profonde, legate ai programmi e a un progetto per la città di domani, o è solo un misero e bottegaio conteggio di strapuntini di governo, di indennità da percepire, di visibilità pubblica da sfoggiare, se non addirittura di qualche insignificante delega da poter gestire, tanto per dimostrare di esistere e accontentare questa o quella manciata di clientes. L'immagine dei partiti della coalizione ne esce sfigurata, e quella dei consiglieri eletti annichilita. Forse è il caso di ridurre di parecchio il numero dei consiglieri comunali, al fine di garantire una migliore selezione.
Di fronte a tali spinte di mediocre ambizione personale, non si può rispondere sullo stesso piano, moltiplicando gli scranni inutili e gli incarichi di facciata. Come leggere la proposta di cambiare il presidente del consiglio comunale, dai poteri di fatto poco più che inesistenti se non partecipare alle adunate ufficiali della città e figurare impettiti agli alzabandiera, se non come un mercato delle vacche di questa o quella poltroncina? Come può pensare il sindaco di risolvere una crisi di guida della maggioranza, assegnando contentini a mo' di premio di consolazione?
Il sindaco eletto direttamente dagli elettori esige che il primo cittadino interpreti lo spirito e il programma della coalizione, si assuma la responsabilità di indirizzare e realizzare il governo della città, tenga presente - certo - il peso delle forze politiche che lo sostengono e delle preferenze ricevute, ma sappia decidere. Prenda in mano la situazione una volta per tutte, e indichi la strada. Se al momento del voto in aula, la maggioranza non ci sarà più, pace. Si andrà ad elezioni anticipate e si vedrà se Trento si darà un nuovo governo. Ma non si può lasciar morire per consunzione un'amministrazione, vivacchiando ogni giorno senza avere nemmeno la certezza di poter portare in aula una delibera col rischio quotidiano dell'imboscata dei franchi tiratori.
Tutti questi mesi passati a parlare di rimpasto, di alchimie, di poltroncine, di precari equilibri, hanno gettato sulla cittadinanza una pessima immagine del governo della città. Andava preso atto già da tempo della situazione, magari azzerando il tutto e provando a ripartire. Il temporeggiare all'infinito ha solo peggiorato le cose, e inasprito gli animi dei singoli e dei partiti della coalizione alimentando illusioni nei pretendenti e ansiosa incertezza negli assessori.
Tutto ciò di fronte a scelte importanti per la città, a partire dal nuovo Prg, con decisioni sulla destinazione di intere aree del capoluogo di cui non si conosce il futuro, con quali progetti, con quale idea urbanistica della Trento del domani.
Il sindaco Andreatta ha dichiarato ieri all'Adige che la città non è ferma, e che in sedici mesi sono stati realizzati ben 70 progetti, e i servizi sono stati regolarmente erogati. Ma «asfaltar no es gubernar», come ricordava lo scrittore spagnolo Salvador de Madariaga. Non basta che i servizi comunali abbiano funzionato egualmente in questo anno e mezzo di «surplace» della giunta. Occorre avere in mente un progetto di città che si vuole realizzare e la squadra che sarà chiamata a realizzarlo. È attorno a questo, all'idea che si ha della Trento del domani, che si può e si deve compattare una maggioranza, se c'è ancora. È sulla base di questo che si compone la giunta e si scelgono gli assessori, non con il bilancino dello speziale sotto il ricatto di questo o quel voto che viene a mancare. Allora vuol dire che non c'è più nulla che tiene in piedi la maggioranza, e occorre prenderne atto. Ben sapendo che non c'è alcuna alternativa all'orizzonte, con un'opposizione divisa e frastagliata a mo' di armata Brancaleone.
Il triste risultato di tale indecoroso spettacolo rischia di essere uno solo: lasciare in mano la città alla protesta più sguaiata e al «vaffa» di turno, assecondando il populismo sconsiderato che ormai va per la maggiore. Ma la responsabilità, anche questa volta, non sarebbe dell'antipolitica, ma della cattiva politica, quella inconcludente che non riesce a mettersi d'accordo su niente.
p.giovanetti@ladige.it
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