Agricoltura in Trentino: basta con il modello simil-padano
Basta con l'agricoltura simil-padana
Spenderò la prima riga per mettere le mani avanti e spiegare che non si tratta di una lettera di attacco, ma di speranza, e quindi in una certa misura di futuro.
Nel mondo agricolo il cambio generazionale è una lotta: il vecchio rinfaccia al giovane -magari già trentenne- di essere un “bociaza” sognatore che si perde nelle stupidaggini, ed il giovane che accusa il vecchio del fatto che sta soffocando sul nascere gli istinti di rinnovamento perché non sa “leggere il futuro”.
In aggiunta, il prolungamento dell’aspettativa di vita trasla inesorabilmente il momento del passaggio di consegne, impedendo un rinnovamento al passo coi tempi. Questo accade in tutti i settori ma nell’agricoltura maggiormente, visto che spesso i passaggi generazionali aziendali avvengono in casa con una totale mescolanza tra quello che sono le questioni lavorative ed i rapporti famigliari; una commistione che, quasi mai, riesce a produrre un cambio senza dure lotte intestine. Mi colpisce molto l’incapacità ancestrale (direi tramandata) di favorire i cambiamenti o comunque le successioni.
Il rapporto giovane-vecchio sfocia in rivalità invece che in propositività e quasi sempre il vecchio «inizierà a mollare» soltanto quando costretto dal fisico. Questa incapacità (reciproca) alla collaborazione costruttiva, che può durare anni, è totalmente disarmante.
Io ho avuto la fortuna di una vita agiata, ricca di esperienze e di studio; con questo bagaglio sono tornato a casa e ho iniziato a guardare il paesaggio (in termini ambientali e paesaggistici) e i paesi (in termini di persone, attività economiche e strutture) con occhi più maturi e consapevoli.
Da quel momento ho capito che l'agricoltura e la zootecnia intensive devono impegnarsi a cambiare approccio.
A sostegno di questo mio pensiero, tra il resto diffuso tra tutti i non addetti ai lavori (ovviamente), è giunto un discorso di un grande imprenditore italiano che esponeva un ragionamento basato sull'essere in grado di intuire il potenziale economico del bello: il bello non è frivolo, il bello è una fortuna sfacciata che va letta, aiutata e tradotta in economia nel modo adeguato a tutelarla.
Quando guardo il nostro territorio penso che dobbiamo ringraziare i vecchi agricoltori per averci permesso di arrivare ad oggi con delle potenzialità di bello enormi, ma che dobbiamo velocemente staccarci dal loro modello e cambiare per poter cogliere il Treno Economico del Bello (T.E.B).
C'è chi dirà che il bello è soggettivo o che il bello è superfluo. Invece, il bello a cui mi riferisco, è l'opportunità economica del futuro per i nostri piccoli paesi, non è il superfluo, è la concretezza. Quanto alla soggettività del bello è facilmente confutabile perché non parlo del bello secondo il parere del singolo (che dovrà essere sempre libero e rispettato, oltre che soggettivo per definizione), ma ad un bello matematico, così lo definirei! provate ad immaginare due foto postate su un social, una che ritrae un giardino di casa incolto e l'altra che ritrae lo stesso giardino con erba a raso e fiori sui bordi. Nessuno avrebbe dubbi su quale sia l'esito dei like che le due foto riceverebbero. Ecco quello è il bello a cui mi riferisco, un bello misurabile, concreto. Infatti ci saranno alcune persone che preferiranno il giardino incolto perché in esso vedono ciò che loro cercano dal bello, ma la maggior parte dei like sarà per il giardino curato, è matematico (appunto).
La campagna del comune di Fiavé coltivata pressoché solo a mais è piacevole, ma non è paragonabile alla bellezza sublime della stessa campagna se fosse coltivata con varietà diverse alternate a prati pascolati dalle vacche. I fienili e le stalle in cemento svolgono la loro funzione ma non sono paragonabili alle strutture in legno. E mi fermo subito qui perché la lista di proiezioni immaginarie potrebbe diventare lunga e «dolorosa».
Anzi, aggiungo un elemento che per contrasto rafforza ancor più il concetto: i prati in costa, come quelli di Favrio, sono un esempio di bello ed infatti per il modello agricolo di oggi risultano un peso anziché una dote traducibile in valore aggiunto. Ecco l'assurdo.
Allora mi domando: se il modello zootecnico e agricolo di oggi ci impone, per stare in piedi, di coltivare mais a iosa, di consumare gli animali e di correre come dei matti verso il «di più», il tutto a discapito del bello, questo modello è adatto a produrre futuro per il territorio? No, anzi tale modello sarà ostativo al concretizzare le enormi potenzialità economiche legate al T.E.B. che questo territorio ha in grembo.
È chiaro che c'è della provocazione nelle mie parole, perché è evidente che le enormi potenzialità di bello esistono soprattutto grazie a coloro che hanno tirato avanti la carretta dell'agricoltura e della zootecnia anche quando, dagli anni '80 ai '10, erano chiaramente considerati lavori sporchi e non auspicabili per sé o per i figli.
Però è altrettanto chiaro che la ricerca continua ad aumentare la capacità di produzione, pur avendo un senso economico per la singola azienda, sarà l'elemento boomerang che impedirà un propizio sviluppo economico del territorio in un senso più diffuso e, addirittura, contribuirà allo spopolamento.
Un'ultima cosa importante che vorrei mettere in evidenza, è che la fortuna di poter salire sul Treno Economico del Bello (T.E.B.) dovrebbe essere interpretata come una responsabilità e non come un'opportunità. In questa responsabilità è compreso anche il ringraziamento a quegli stessi agricoltori che provoco, e la comprensione che cambiare è difficile e fa paura, ma è obbligatorio, esattamente come è stato obbligatorio passare ad un modello produttivo 30-40 anni fa.
Questa responsabilità, già da domani, deve essere presa in carico da un grande progetto politico di sviluppo locale che faciliti il cambiamento, e consenta agli operatori agricoli l'acquisto dei biglietti per il T.E.B.!
Stefano Carloni
Assessore all'Agricoltura e Urbanistica
del Comune di Fiavè, ingegnere,
figlio del titolare di una delle più
grandi aziende agricole della vallata