Occorre fermare l'imperialismo di Putin
Occorre fermare l'imperialismo di Putin
La polemica, violenta, è durata lo spazio di un mattino. Beppe Grillo, Giorgia Meloni e Matteo Salvini si sono ritrovati uniti contro la decisione del nostro governo di schierare 140 soldati in Lettonia il prossimo anno. Il più apocalittico è stato, come sempre, il capo dei Cinquestelle che ha accusato Matteo Renzi di «trascinare l'Italia verso la guerra».
E anche «verso il disastro economico, mentre la Russia è un partner essenziale». Gli altri due esponenti della destra non sono stati da meno, definendo la decisione un'idiozia. In effetti può sembrare curioso che il nostro paese, con tutti i problemi di sicurezza che ha, si occupi del fronte Est e per di più in chiara funzione antirussa. In realtà la notizia non era assolutamente nuova. Era stata addirittura comunicata in parlamento dal ministro Roberta Pinotti in luglio, subito dopo il vertice Nato di Varsavia svoltosi il 9 di quel mese. Essa è nuovamente rimbalzata alle cronache per un'intervista alla Stampa di Torino del segretario della Nato, Jens Stontelberg.
Si tratta di una decisione presa all'unanimità dai 26 paesi membri della Nato, cui l'Italia ha aderito con un mini contingente di 140 unità su un numero complessivo di 4.000 militari schierati nei tre Paesi Baltici e in Polonia per contrastare il riarmo russo dall'altra parte del confine (circa 30.000 soldati) e all'interno degli stessi Baltici nella enclave di Kaliningrad con lo schieramento di missili Iskander, potenzialmente armabili con testate nucleari. Si dirà che la Russia risponde di fatto alla decisione americana di sviluppare un sistema radar antimissile (Aegis) ai confini orientali. Ma certamente un sistema difensivo di 4.000 soldati e di qualche radar è poco più che simbolico di fronte alla potenza russa. Serve principalmente a rassicurare i paesi dell'Est della continua copertura che la Nato è disponibile ad offrire in caso di minaccia da parte di Mosca.
Non si può infatti negare che Vladimir Putin conduca una politica, anche militare, di espansione in quella che ritiene la propria area di influenza. Al di là della Crimea e del Donbass nell'est dell'Ucraina, ormai acquisite al controllo di Mosca, non bisogna scordare che questa politica aggressiva era già iniziata nel 2008 con l'invasione della Georgia e con i carrarmati russi a pochi chilometri dalla capitale Tbilisi. Ciò era costata alla Georgia la perdita delle due province dell'Ossezia e dell'Abkazia del Sud. È quindi abbastanza comprensibile il timore dei paesi del Baltico e della Polonia di vedersi un giorno costretti a difendersi nuovamente da una Russia di tendenze neoimperiali. Ma di nuovo c'è da chiedersi perché anche l'Italia, che pure condivide grandi interessi commerciali con la Russia? Come dicevamo più sopra, le decisioni all'interno della Nato vanno prese all'unanimità: senza l'Italia non si andava da nessuna parte. Per il nostro paese è quindi importante decidere dove sta l'interesse nazionale prioritario.
Con gli alleati della Nato o con la Russia? Per una medio-piccola potenza come è il nostro paese il condurre politiche autonome rispetto ai gruppi di riferimento, siano essi la Nato o l'Unione europea, è rischioso oltreché irrealistico. Noi per Mosca contiamo pochissimo, mentre all'interno della Nato possiamo pesare un po' di più, proprio perché il nostro voto è essenziale per arrivare a decisioni comuni. Questo peso può quindi accreditarci su altri scacchieri che sono di più diretto interesse per l'Italia. Se il fronte est ci appare lontano, quello sud è alle porte di casa e costituisce una minaccia reale. Nel gioco diplomatico, quindi, la nostra adesione al rafforzamento dei confini ad est dell'Europa dovrebbe servire per ottenere dai nostri partner analoga attenzione verso sud. Ho detto «dovrebbe», perché nel mondo reale la nostra capacità diplomatica non è stata sempre di grande qualità. Fino a non molti anni fa si diceva che l'Italia si accontentava di uno strapuntino dove sedersi nei gruppi che contano, UE, G7, G20 e così via, ma senza una reale capacità di proporre e di difendere il nostro interesse nazionale. Affermava nel 1993 Nino Andreatta, al tempo ministro degli esteri, che l'importante non era «esserci» ma «partecipare», cioè avere idee e proposte da avanzare.
Oggi l'offerta di 140 soldati ad Est viene giocata con una richiesta di cooperazione della Nato nelle missioni navali nel Mediterraneo in funzione di lotta ai trafficanti di esseri umani. Già ciò avviene nell'Egeo di fronte alle coste turche. Domani il contributo Nato potrebbe estendersi alla missione Sophia di fronte alle acque territoriali libiche. In altre parole, il tentativo del governo italiano è di spostare l'attenzione degli alleati anche a sud. Di qui la decisione del luglio scorso a Varsavia. Per tornare poi ai rapporti con Mosca, che pure sono di nostro interesse dal punto di vista economico, va messo nel conto un altro pericolo, forse meno evidente di quello che si manifesta sul fronte est. Le minacce di Mosca non sono tanto dirette verso la Nato, che può contare sulla copertura americana (a meno che Trump non diventi presidente), ma piuttosto a dividere l'Unione europea.
Putin cerca infatti, alternando blandizie a dimostrazioni di forza, di frammentare il fronte europeo che ha miracolosamente mantenuto l'unità sulla imposizione delle sanzioni contro Mosca, malgrado gli interessi economici spingessero nella direzione opposta. Lo fa anche dall'interno dei singoli paesi, appoggiando apertamente e in parte finanziando i movimenti nazionalisti e antieuropei per favorire una possibile ondata di «exit» dall'UE, iniziata con la Gran Bretagna e che potrebbe proseguire con la Francia in caso di affermazione del Front National. Strano ribaltamento storico, quello di vedere un ex-comunista come Putin sostenere movimenti di estrema destra e populisti nell'Unione europea. L'Italia deve temere questa pericolosissima deriva, anche al proprio interno. La nostra politica nei confronti di Mosca deve quindi tenere conto di più aspetti e non solo di quelli commerciali. La coesione occidentale e quella dell'Unione europea sono ancora le nostre priorità assolute. È al loro interno che l'Italia può giocare un ruolo credibile e utile per la difesa dei nostri interessi. Le polemiche politiche sui 140 militari impiegati ad est appaiono quindi banalmente strumentali a questioni di bottega partitica interna da riversare nel grande calderone della lotta fra il sì e il no al prossimo referendum.