Ispiratore di convivenza e dialogo
Paolo Prodi, ispiratore di convivenza
La scomparsa di Paolo Prodi è un lutto italiano ed europeo. Trento, la città dove a lungo ha vissuto, l'università che ha contribuito a ideare, rifondare e guidare devono esserne consapevoli. Ma Trento ha una ragione in più per ricordarlo. L'ha avuto accanto tanti anni, a volte senza quasi accorgersene, ed oggi deve sapere che se la sua dimensione di studioso va ben oltre questa terra (quanto s'era battuto perché l'ateneo comprendesse anche Bolzano) la storia di questa terra è stata però illuminata dalla sua presenza, dai suoi studi, dalle realtà che vi ha radicato, dall'affetto che le ha riservato. Il rimpianto va a ciò che ha dato - rilanciato - ma anche alle occasioni che ha offerto e che non sono state colte.
Sotto questo aspetto Paolo Prodi appare quasi come un nuovo Erasmo, che ha saputo comporre le contraddizioni del passato in nuove visioni, riverberando - sull'Italia e in Europa - gli antichi valori e le nuove speranze racchiuse nell'autonomia. Per il Trentino Prodi ha cercato di riconfermare, senza retorica, senza doversi inventare false identità, quel ruolo di «ponte», di convivenza, di ricerca di nuove occasioni fra mondo italiano e mondo germanico, che sono parte fondante della storia europea, che i nazionalismi hanno lacerato e che attendono un futuro, non banale, non strumentale.
Paolo Prodi è morto a Bologna, a 84 anni. Era malato, ma pochi uomini come lui hanno voluto essere attivi fino agli ultimi giorni per rappresentare le realtà più profonde di una cultura - e sta qui la ricchezza e il fascino della sua figura - fondata su studi storici e giuridici severi, ma al tempo stesso aperta a visioni audaci, originalissime. Prodi ha misurato la crisi di Chiesa e Stato nella postmodernità, indicando poi strade di ricerca e impegni nella politica e nella realtà civile, con una straordinaria coerenza di testimonianza personale. La sua è stata una presenza laica e spirituale insieme, secondo le lezioni dei suoi maestri, fra cui spicca la figura di Giuseppe Dossetti. Così Prodi poteva alternare, nei suoi anni trentini, l'assidua partecipazione alla messa domenicale «controcorrente» di don Dante nella chiesa di San Pietro, alle conversazioni d'amicizia con Bruno Kessler e Iginio Rogger, l'esposizione dei suoi metodi di studio alla confessione, solo a prima vista paradossale, che «se non avesse fatto lo storico avrebbe voluto essere frate, cappuccino».
E non era per la tentazione di fuggire le delusioni che gli venivano riservate, c'era piuttosto un respiro manzoniano nelle sue parole, l'adesione a chi raccoglie con umiltà i frutti della storia, come fra Galdino con le noci. Per poi ridistribuirle, ma anche l'eco di un fra Cristoforo che difende i deboli dalla sopraffazione dei potenti, che smaschera le ipocrisie, che denuncia le viltà e le omissioni della stessa Chiesa. Per comprendere gli scenari vasti su cui Prodi operava, basta del resto scorrere i titoli di quella straordinaria trilogia che costituisce la chiave di volta di tutte le sue ricerche e che si presenta come una grandiosa architettura di lettura e interpretazione del potere: «Il sovrano pontefice» (che ottenne grandi riscontri anche nelle traduzioni tedesca e inglese, in Germania e negli Usa) «Il sacramento del potere» (sul giuramento) e «Settimo non rubare». Ai quali si può aggiungere anche «Fine di una rivoluzione».
Queste opere derivano anche da riflessioni maturate attraverso gli studi (il Concilio con Jedin) e l'esperienza trentina. Paolo Prodi vide in Trento, che negli anni Sessanta si risvegliava raggiungendo la seconda autonomia (1972) la pacificazione in Alto Adige (Pacchetto) Sociologia e l'Università con nuove competenze (Libera Università 1972), le possibilità di un territorio capace di diventare modello e paradigma di una realtà postmoderna. La sua visione resta tuttora racchiusa nella targa che volle all'ingresso dell'Istituto Storico Italo Germanico presso la sede dell'allora Itc, ora Fondazione Fbk, in via Santa Croce: l'Istituto in Trento come «Stazione di Posta» nel tragitto fra Italia e Germania. L'Istituto fondato nel 1973 resta forse la più lungimirante e decisiva realizzazione di Prodi a Trento, non solo perché contribuì, con il successivo Istituto di Scienze Religiose (Rogger) e gli altri istituti scientifici che sarebbero seguiti a dare una dimensione internazionale all'ateneo, ma anche per dare valore aggiunto all'Università - di cui Prodi fu il primo rettore dal 1972 al 1978 - valorizzando gli studi giuridici economici e sociali e traendola da una monocultura sociologica che finiva per isolarla.
Il ruolo dell'Istituto era volto anche a suggerire che la ricerca scientifica, con una salda spalla storica e umanistica - potesse non cadere ostaggio di una virtualità autoreferenziale, di un tecnicismo facile a piegarsi al «mercato». Anche per questo Prodi volle poi completare l'eccellenza che l'Università stava inseguendo, con una Facoltà di Lettere, di cui fu preside 1985-1988 e che egli voleva radicata, motivata, indirizzata a preparare insegnanti la cui carenza resta una debolezza del Trentino. Attorno all'Italo-Germanico Prodi riuscì poi - ed è forse la sua realizzazione più straordinaria - a radunare e far crescere un numero di collaboratori e allievi di altissima qualità (e non è possibile, senza far torto ad alcuno, tacere i nomi di Pierangelo Schiera e Diego Quaglioni) che hanno a loro volta avviato linee di ricerca e scuole.
Ma Trento, e il Trentino, ricordano Paolo Prodi soprattutto per la sua scelta di radicarsi nella città e di viverla, di chiedere la residenzialità ai docenti, perché fossero parte anche di incontri di comunità e non solo di studio. Prodi lo si incontrava nelle aule, ma anche nelle strade, ai convegni, alle «Settimane» dell'Italo Germanico che nella continuità di tanti anni hanno costituito un intreccio anche umano fra giovani studiosi italiani e tedeschi. Prodi lo si incontrava sui sentieri della montagna, che amava e percorreva, a Martignano, dove aveva casa. È stato così il protagonista di una grande stagione, non solo di studi, ma di amicizia, che ha fornito l'immagine di una terra cordiale, aperta al mondo.
Oggi questa terra si stringe attorno al dolore della famiglia, della moglie, dei figli qui cresciuti e radicati, e ricorda Paolo come un suo grande concittadino, al cui esempio ispirarsi, con una eredità morale e culturale da non tradire.