Ricordare la Shoah perché non si ripeta
Ricordare la Shoah perché non si ripeta
Coltivare la memoria è il messaggio che ci viene in questi giorni da tanti segni. A cominciare dalla commemorazione della Shoah, cioè da quel tragico evento di morte che celebriamo ogni anno, il 27 gennaio, a ricordo di quando i Russi entrarono per primi nei campi di concentramento. Memoria si fa presente nel viaggio di papa Francesco, in Amazzonia, facendo risorsa di quella loro «tipicità», che va assolutamente difesa e custodita, poiché sono parte preziosissima della Casa comune, che lui, nella Laudato Sii, aveva già intuito. Anzi, dice, l’ha scritta proprio pensando a loro, a questi amici della foresta, dove la vita si fa pienezza di relazioni fraterne, poiché è rispetto amoroso della Creazione. E godo della libertà che questo Sommo Pontefice si prende sull’aereo, di fronte alla coppia di giovani, che non poterono a suo tempo sposarsi nella loro chiesa terremotata. Li guarda, chiede, entra in relazione. Fa memoria della loro storia di amore. E celebra il loro matrimonio. Senza formalità. Ma in pienezza di relazioni, poiché la memoria viva rende essenziale la vita. La storia si fa vigore per il futuro. Slancio di vita nuova, consacrata ora dal sigillo matrimoniale.
Anche per me il mese di gennaio è carico di eventi. Di memorie che mi riempiono il cuore. Dolci e amare. Ma sempre feconde. Perché è in gennaio che festeggio il compleanno di mio fratello Piero. È in questo mese che ricordo la nascita di mia mamma Albina e della nipotina Chiara, lo stesso giorno. È sempre in gennaio che rivivo l’emozione della lettera inattesa del nunzio vaticano, quel mercoledì 12 gennaio 1994, quando fui chiamato ad essere Vescovo di Locri. È proprio lo stesso giorno, in cui ricordiamo la morte di mio padre, Germano, a Cles, nel 1982. Ed è ancora il 19 di gennaio del 2008 la data del mio ingresso nella diocesi di Campobasso. Era un giorno terso, bello, luminoso. Imprevedibilmente tiepido. Da Locri, Piero aveva portato un sacco di mimose. Le aveva raccolte come ultimo ricordo di quel giardino di Calabria, che lui, con Silvano e Franco, ogni anno ripulivano e potavano. Certo, non fu facile lasciare quel «giardino» che tanto avevo amato. Fu un trasferimento così improvviso che fu come fermare un treno in corsa. Ma ebbi la grazia di obbedire.
Pur tra le lacrime. Sentii vicino quel versetto del salmo: «Chi semina nelle lacrime, raccoglie nella gioia!». Lacrime certo. Ma non nostalgia. Perché in ogni trasferimento o passaggio della vita è facile scivolare, senza accorgersene, nella nostalgia. Con una differenza enorme. La nostalgia, infatti, ha le radici profonde. Ma produce frutti acerbi, che lasciano il cuore amaro, per te e per chi ti sta vicino. Che fare, allora? Ho sentito vivo il grande monito del libro della Sapienza, che ci invita alla Benedizione. Anche la benedizione ha le radici profonde. Ma essa produce frutti dolcissimi. Senza mai rimuovere il passato. Poiché il passato non si può rimuovere, mai! Anzi, se lo fai, ti privi della forza delle radici. È come sradicare un gelso, che ha le radici profondissime. Non per nulla, Gesù lo utilizza come immagine per indicare la forza della fede capace anche di sradicare proprio un gelso. Tutte note di colore che mi sono state insegnate da mio papà Germano. La cui dolcezza e serenità si fa benedizione e mai nostalgia.
E così mi ritrovo ora a ripercorrere questi dieci anni, compimento di una vita intera, che mi vede nascere tra le montagne del Brenta, crescere come giovane nei Licei di Verone e nelle fabbriche della Biasi. Affrontare poi l’avventura di Crotone e di Bari, appassionarmi per la terra così ferita della Locride e giungere tra le montagne del Matese, per compiere un tragitto di strada insieme ai pastori della transumanza, tra le stalle della nostre colline, per sentire l’odore delle pecore.
Ecco, l’identità del Molise mi porta proprio qui: nella Visita Pastorale, tra la gente, dove sono stato per ben quattro anni, di paese in paese. Ho sentito realmente il vagito dei bimbi, i sogni dei giovani che guardano oltre le nostre montagne, il passo solido dei contadini che investono sui capannoni dei pulcini, la gioia del Seminario che cresce, la fraternità dei miei preti, i nuovi ordini religiosi, la bellezza delle chiese restaurate dopo il terremoto del 2002. Ma soprattutto, risento la voce di papa Francesco, in quel meraviglioso sabato 5 luglio 2014, quando ci ha aiutati ad amare ancor di più il Molise, terra sana e ricca di buone risorse umane, da valorizzare in pienezza. Da qui, l’intuizione, non facile, del Sinodo diocesano. Per iniziare processi più che occupare spazi! Affido a Dio questo arazzo di luce, dipinto nelle parole della Via Crucis per il Colosseo, nel 2014, fatto di trama ed ordito, intrecciato nell’armonia di una storia di crescente benedizione.