Conserviamo la capacità di stupirci
Conserviamo la capacità di stupirci
C’è ancora posto in questo mondo per la speranza! Sì, certo! Perché c’è posto per tutti!
Ho guardato con un sentire profondo al momento inaugurale che si è vissuto lo scorso 5 aprile nei Giardini Vaticani. Ho visto gravida la spiga del futuro nella consegna della statua in bronzo di ben 2 metri di San Gregorio di Narek, il santo armeno del X secolo, profeta e testimone dell’ecumenismo, che proprio nel 2015 Papa Francesco proclamò 36° Dottore della Chiesa.
In questo gesto c’è un messaggio chiaro e diretto a tutti: incontrarsi è il segreto per ripensare l’Umanità! Incontrarsi è ciò che conta. Per quanto possano essere diverse e opposte le strade percorse, l’importante è che ad un certo punto ci si intrecci, come rami protesi verso la luce e il calore, necessari perché i germogli diventino frutti maturi. Il respiro della primavera è fatto di questi piccoli grandi passi che ci ricordano il bisogno di rinnovamento, di fraternità sovrana. Proprio stamattina nel mio calendarietto leggevo questa frase di Wolfgang Goethe: «Sono al mondo per stupirmi».
Non manchi mai nelle nostre giornate questa apertura di cuore. Lo stupore è il solo atteggiamento che rimette in piedi di fronte al limite che, spesso, ci piega e ci piaga. Sembra di poter poggiare il nostro orecchio sul petto dell’apostolo Tommaso, oggi, davanti al Vangelo che ci propone questa domenica dell’ottava di Pasqua. E sentirne il tremore del dubbio, della fatica del credere, del riaprire gli occhi davanti al Risorto. Svegliamoci «è venuta la mietitura» (Mc 4, -29), è tempo di aprire le mani e raccogliere il frutto delizioso della Vita che è tornata a fluire per i corsi del mondo. Inneggiamo perché «La destra del Signore si è innalzata, la destra del Signore ha fatto meraviglie». Il nostro grido è stato udito: davanti al costato aperto anche le nostre fragili vite tremano come Tommaso dinnanzi a Colui che non è scomparso per sempre. «Stendi la tua mano!» è l’imperativo, come se a ciascuno di noi è comandato: «Risorgi! Puoi!».
Sento il bisogno di rivolgere un grazie a questo apostolo, Tommaso, che è il riferimento costante nella mia missione e nel mio stemma episcopale. Lo ringrazio perché dentro la sua apparente durezza a credere è potuto esplodere dalle stimmate di Cristo l’ultimo insegnamento. Ad essere infranta è la solitudine, è lo smarrimento. A vincere è un Dio che non volterà mai le spalle agli uomini, benché a Lui non le risparmino! Poiché il dito di Tommaso si spinge dentro la carne ferita e trasfigurata del Crocifisso Risorto, il Liberatore Gesù è potuto penetrare a sua volta nella sua paura più segreta e lì invitarlo a trovare la risposta solo aprendo gli occhi su Colui che è tornato fra i suoi nella forma del per sempre.
Quell’avvicinarsi della Verità in persona verso il dubbio umano è sconvolgente. È la sintesi di tutto il mistero pasquale. Nel filone del quotidiano si rincorrono, infatti, insicurezze e certezze, salite e discese, ma la bellezza è nel non mollare, nel nuovo che emerge dalle ceneri di ciò che sembrava perduto. L’approccio a questa soglia che unisce il cielo e la terra in forma definitiva e certa va letto e applicato a livello esistenziale, e soprattutto culturale e politico. Perché la diffidenza che nutre il popolo verso una Politica che finora a spezzato questo legame sia soccorsa con la medesima dinamica. La Politica cioè ci faccia toccare con mano l’effettività del suo impegno a servizio dell’uomo, di ogni uomo. Da qui prenda avvio l’itinerarium concretionis. Che cos’è? È il cammino della concretezza. Essere segno tangibile. Non si richiede che questo. Un sentiero senza più nodi e fosse buie, ma pieno di pozzi d’acqua per tutti, di lavoro per tutti. Perché tutti prendiamo atto della veridicità di quanto è stato programmato e promosso dalle varie parti politiche.
Siamo al mattino di questa nuova e necessaria primavera...che vogliamo tenere per mano! Come il Risorto ha fatto con Tommaso.