Il bosco del pianista e l'albero di Panato
Il bosco del pianista e l'albero di Panato
Milonga di malga, tango di Sella. Musica magica. Nella valletta verde che ospitò il riposo nascosto e gli affetti riservati di Alcide De Gasperi, uno degli ultimi statisti d'Italia (e Dio sa come vorremmo vedere rispuntare un nobile larice così), la squadra di Emanuele Montibeller, con un consulente musicale del rango di Mario Brunello, è riuscita a creare un luogo di incrocio tra le arti in mezzo ai boschi, che ormai è un approdo internazionalmente riconosciuto.
Con un'altissima percentuale di autofinanziamento (una delle migliori, tra le officine culturali d'Italia), Arte Sella si è affermata come luogo magico grazie al passaparola di testimoni qualificati e a una miscela semplice da dire ma non facile da realizzare: rispetto della specificità del luogo, valorizzazione della materia prima autoctona (gli alberi, il legno, il prato, il silenzio), proposte di residenza ad artisti italiani e stranieri, fantasia nell'immaginarsi laboratorio di culture in un contesto di colture di montagna.
La musica si è inserita in Arte Sella, anno dopo anno, come completamento e non solo complemento. Non troppi eventi ma momenti calibrati, incroci intelligenti.
Sabato scorso, fresco vincitore del Grammy Award per il miglior disco di jazz latino, è stato Pablo Ziegler, già pianista di Astor Piazzolla e compositore di fama internazionale, a portare le sonorità di Buenos Aires e la nostalgia «porteña» dentro la Malga Costa, la «Nana para un niño dormido» e «La Muerte del Angel», ben supportato dal sax di Marco Albonetti, dal violoncello di Aya Shimura, dal contrabbasso di Virgilio Monti.
Si comprendeva bene come il concerto pomeridiano del quartetto fosse una restituzione affettuosa dopo tre giorni di «fare musica, vivere musica» dentro un contesto appartato e speciale. Negli spazi che riecheggiavano i suoni e gli odori delle mucche, il pubblico ha potuto dunque ascoltare quel particolarissimo tipo di «blues» sudamericano che è il tango suonato come jazz, in cui la salsedine latina commuove e contamina felicemente i fiati nordamericani e le nostalgie d'Europa. Buenos Aires, arie buone da assaporare, dopo gli assaggi di formaggi e grappe chilometro zero. L'artista ha bisogno di essere accudito per regalare poi, nello spirito giusto, il distillato della sua cultura musicale e di quella soprannaturale abilità (a cui mai ci si abitua) di trasformare il movimento di dieci dita in infinite combinazioni melodiche e ritmiche.
Circondato dagli alberi della Val di Sella, se bene innaffiato, cresce anche l'albero della musica, che da radici profonde e lontane poi ramifica in direzioni inaspettate, scegliendo di fare ombra oppure di lasciare varchi di luce tra le foglie. La quercia di Bach, la betulla di Ciajkovskij, l'abete di Mahler... E dagli uccelli nascosti tra i rami di un parco, Charlie «Bird» Parker ha imparato il canto inimitabile del suo sax.
L'albero è una buona metafora delle cose belle della vita. Come la musica. Come la fotografia. Nel grande abbraccio d'addio a Dino Panato, martedì, don Lino Zatelli ha evocato proprio l'albero come simbolo dei tanti rami e delle tante storie raccontate da un fotoreporter con la passione del lato umano delle cose. E ha citato Ferdinando Pessoa, cantore del Portogallo, della solitudine e dell'eterno navigare: «Non è nei vasti campi o nei grandi giardini che vedo giungere la primavera. È nei rari alberi di una piccola piazza della città. Lì il verde spicca come un dono ed è allegro come una dolce tristezza» (da «Il Libro dell'inquietudine»).
Molte cose si imparano dagli alberi. E dagli uomini che sanno guardare gli alberi. E ascoltarli.