La lista dei morti che non vogliamo vedere
La lista dei morti che non vogliamo vedere
Tempo elettorale da noi, tempo di liste. Ciascuna con le sue promesse, ciascuna con le sue speranze. Ma c’è un’altra lista diffusa in questi giorni e che incombe con il suo carico di promesse di vita e di speranze di futuro annientate. Un carico immenso, il cui urlo silenzioso resterà come la nota dominante del nostro tempo. Anche del nostro piccolo tempo elettorale.
E continuerà a farsi sentire nella storia, più di qualsiasi altro urlo che vorrebbe imporsi in questa inquietante stagione.
La lista è quella delle 34.361 persone morte dal 1993 ad oggi nel tentativo di superare le barriere della fortezza Europa, per tutti loro promessa e speranza di futuro. L’ha pubblicata, con un supplemento di 104 pagine, il settimanale «Internazionale» in questi giorni in edicola (n. 1276, del 5/11 ottobre). La lista è già stata diffusa in altri paesi e l’artista turca Banu Cennetoglu da anni si dedica con tutta se stessa a farla conoscere.
Kimpua Nsimba, un giovane di 24 anni proveniente dalla Repubblica Democratica del Congo (allora Zaire), morto suicida, trovato impiccato in un centro di detenzione per migranti cinque giorni dopo il suo arrivo in Gran Bretagna, apre la lista, anno 1993. Il secondo nome è sconosciuto, come altre migliaia, è un «N.N.», nescio nomen. La lista ne indica, con l’anno, la provenienza, Jugoslavia, e ricorda che il suo corpo è stato trovato al confine tedesco-ceco. Il terzo è un’altra persona senza nome, di provenienza sconosciuta, affogato nel fiume Oder mentre cercava di attraversare il confine tra la Polonia e la Germania. Il quarto ha un nome, Jaffarzadeh, iraniano, morto in prigione a Teheran dopo essere stato deportato dall’Austria. Nella quinta casella di questa angosciante lista ci sono due N.N., una ragazza di 18 anni e un giovane di 25, romeni, morti, il primo gennaio del 1993, nell’incendio doloso a un campo profughi del Baden-Württemberg, in Germania.
La lista continua, giorno dopo giorno, anno dopo anno, nome dopo nome, N.N. dopo N.N. , per 104 pagine fittissime.
Gennaio 1999, Elvane Vuciterna, Tarik Vuciterna, di 18 mesi, N.N. ragazza di 15 anni, e ancora N.N.: quattro vite spezzate provenienti dal Kosovo, la loro piccola barca affondata nel mare di Brindisi dopo essersi scontrata con un’altra barca.
12 settembre 2006, muoiono 250 persone, N.N., la loro nave scompare nel mare di Lampedusa dopo aver lanciato un SOS. Dietro quegli N.N., che tali rimarranno per sempre, una moltitudine di volti, di storie, di famiglie, di sogni, di speranze. Anche soltanto leggere la scarna riga di questo elenco che le ricorda è come per un attimo restituirle alla vita. Fermarsi anche per un attimo soltanto a pensare a quelle storie, a immaginare i loro volti, le loro case, le loro famiglie, i tanti discorsi per progettare quella partenza, i timori di chi resta, le rassicurazioni di chi parte, gli addii, gli abbracci, le promesse, le speranze è provare a ridare loro un nome.
Quanti corpi recuperati e sepolti nei cimiteri di tanti paesi della Sicilia e di altre regioni costiere italiane restano senza nome. Ogni tanto arriva dall’Africa qualcuno che cerca un proprio congiunto scomparso con la speranza di ritrovare qualche ricordo o qualche segno della sua morte. Terribile la morte insepolta.
La lista pubblicata si chiude il 5 maggio 2018. Provvisoriamente, s’intende. Perché dei morti successivi, e sono stati ancora tanti, l’organizzazione non governativa che cura e aggiorna la lista, United for intercultural action, una rete europea antirazzista, si prende il tempo necessario per verificare attentamente le informazioni raccolte prima di pubblicare i nomi e le circostanze delle persone morte nel tentativo di raggiungere la fortezza Europa. La lista è chiusa da una casella con 4 N.N., un uomo morto e tre dispersi, nell’affondamento di un barcone presso le coste di Tripoli, con 114 salvati, dopo che la guardia costiera libica aveva impedito alle navi delle ong di avvicinarsi. E questa vicenda ci riporta al nostro oggi più che mai.
L’Ispi (Istituto per gli studi di politica internazionale) ha diffuso il primo ottobre scorso un rapporto in cui si afferma che il mese di settembre 2018 è stato il mese con il tasso di mortalità più alto registrato da sempre: due persone su dieci di coloro che sono partiti in settembre sono morti o dispersi. Si parla di 867 migranti morti in mare lungo le rotte dalla Libia negli ultimi quattro mesi. L’allontanamento delle navi di soccorso delle ong, la chiusura dei porti italiani, l’inaffidabilità della guardia costiera libica sono le cause di questo record di morti rispetto al numero dei partenti. E di tanti altri morti non sapremo mai nulla. Chi vede tutto quello che sta accadendo nel mare tra Libia e Italia? Chi conta davvero i morti?
Leggere la lista pubblicata da «Internazionale» vuol dire anche pensare alla interminabile lista sconosciuta. A tutti quei volti e a quelle speranze annientate nel silenzio più totale e di cui la politica al potere nel nostro paese porterà per sempre e senza sconti la responsabilità.