Disumano e anticristiano non accogliere i migranti
Disumano e anticristiano non accogliere i migranti
Ancora una vittima. Ancora un giovane che muore. Ancora baracche fatiscenti e pericolose a danno dei poveri sempre più poveri. Ancora una cecità che uccide! Ho appreso con grande amarezza la notizia di un altro incendio. Avvenuto violentemente ancora una volta, di notte, nella baraccopoli di San Ferdinando, in Calabria, dove alloggiano stranieri.
Stranieri provenienti dall’Africa, impegnati come braccianti nella raccolta degli agrumi, delle olive e dei pomodori nella zona della Piana di Gioia Tauro.
Il sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati sta franando da tutte le parti. I poveri sono sotto attacco da chi non conosce il loro soffrire. L’ennesimo rogo accade nell’accampamento dove vivono circa 1.500 migranti. E già il numero deve farci pensare se umanamente sia tollerabile un ammassamento tale di vite umane dentro un’unica tendopoli, che va trasformandosi in vero e turpe «crematorio», sempre più malsicura per piccoli e adulti.
E mi chiedo, sulla scia dell’emozione eh ci ha trasmesso dal vivo la testimonianza del sindaco Mimmo Lucano, ascoltato venerdì in un grande teatro a Campobasso, perché sia stata chiusa l’esperienza di Riace, mentre si è tenuto in attività la baraccopoli di san Ferdinando?
Sbandierare la parola «sicurezza», mentre si mettono sempre più a rischio vite umane, oggi, è peggio di una bestemmia! Sta di fatto che i tagli ad un’accoglienza emergenziale non sono altro che la tragica soppressione della protezione umanitaria. Quella di cui hanno bisogno gli immigrati fuggiti dalla guerra. Invece che rendere diffusa la solidarietà, le reti di integrazione come attuazione della buona politica, ci si adopera dall’alto ad annullare progetti di intervento, in primo luogo nei confronti dei migranti e poi a discapito dei territori che potrebbero ripopolarsi e avere risorse di futuro. Ma questa mancata coesione nel tessuto sociale, non fa che incrementare i due fattori letali: la paura e il deserto delle aree interne.
È stato detto che quando la consolazione si incontra col grido del povero o dell’innocente, lì c’è ancora una croce che sorge, dalla quale attingere salvezza. E noi ci stringiamo a questa speranza. Lottando col cuore colmo di carità contro le ingiustizie che fanno finta di non vedere i drammi di queste persone costrette spesso allo sfruttamento, a strade di corruzione, ad ulteriori sofferenze, passando, infatti, dalla persecuzione della miseria nelle proprie terre d’origine alla persecuzione dell’indifferenza qui da noi. Il povero, prima ancora di essere nutrito di pane, va riconosciuto come fratello, accolto, rivestito allora della sua stessa dignità, facendolo sentire amato e benvoluto. Mai un peso. Mai una merce. Mai un oggetto da buttare via.
La Bibbia in questo ci aiuta a riflettere e a porre l’accento sulla meschinità della superbia e di chi la esercita: «Ci siamo saziati nelle vie del male e della perdizione; abbiamo percorso deserti impraticabili, ma non abbiamo conosciuto la via del Signore. Che cosa ci ha giovato la nostra arroganza? Che cosa ci ha portato la ricchezza con la spavalderia? Tutto questo è passato come ombra e come notizia fugace, come una nave che solca l’onda agitata, del cui passaggio non si può trovare traccia, né scia della sua carena sui flutti» (Sap 5,7-10).
La presunzione spesso non è altro che un odio camuffato dietro una maschera per commedianti che, mentre sventolano il Vangelo, dispongono della vita degli altri come di bersagli, sui quali scagliare i colpi spietati delle proprie ideologie squilibrate. Ecco perché Gesù ci insegna invece a usare gli occhi non per condannare, non per tenerli chiusi, ma per accorgerci della ricchezza che l’altro possiede in sé. Perché gli occhi senza amore hanno sempre fabbricato prigioni di abbandono.
Eco di quello che ci ha detto papa Francesco, nella solenne Messa a Sacrofano, a due passi da Roma, nel recentissimo incontro con la Fondazione Migrantes e la Caritas: «La paura è l’origine della schiavitù ed è anche l’origine di ogni dittatura, perché sulla paura dei popoli cresce la violenza dei dittatori!». La storia ci insegna. A noi, ora, accoglierne i moniti perenni!