La “paghetta” data in beneficenza
La “paghetta” data in beneficenza
Oggi Caterina e Silvia rompono il salvadanaio. Mentre chiudevo il collegamento con gli studenti si è illuminato il telefono: messaggi di amiche mamme sull’orlo della crisi di nervi, poi la segnalazione di una raccolta fondi. Le mie figlie mi affiancano al computer e cerchiamo il sito. In un attimo imparano cosa sia un ventilatore polmonare, quanti posti in terapia intensiva pro capite abbiamo in Italia; fino a ieri tutto questo non aveva nulla a che fare con la nostra vita, ma adesso è tanto importante da rinunciare alla paghetta di marzo e fronteggiare il Coronavirus anche così. Mentre Luciano finisce di allagare la cucina (lavare i piatti è una delle sue passioni, con frequenti nefaste conseguenze) spiego alle mie figlie che ognuno deve fare la sua parte.
Sulla lavagna abbiamo scritto di nuovo “noi non ci arrendiamo” e andiamo avanti con il nostro serrato programma. La televisione è rigorosamente spenta fino alle 18; mi sforzo, invece, di inventare momenti di homeschooling: ieri abbiamo guardato insieme un video di storia in inglese e ora le mie ragazze sanno tutto sulla peste del 1348; si è diffusa anche a causa delle pessime condizioni igieniche: lo vedete perché è così importante lavarsi le mani? Con Luciano facciamo la raccolta differenziata e cerchiamo di imparare a pedalare, ma al momento lui ha deciso che è troppo faticoso: non apprezza la bici, neanche con le rotelle. Naturalmente le mie figlie hanno anche i compiti assegnati dai loro insegnanti. Per fortuna non sono invitate a collegarsi in diretta, altrimenti faremmo fatica a coordinare le lezioni loro e le mie.
Continuano, invece, a ricevere compiti, tanto che ieri siamo dovuti uscire per comprare una risma di fogli bianchi: dobbiamo stampare pagine di esercizi, che poi vanno tutti divisi per materia e tenuti insieme con graffette, altrimenti si perdono. Gli insegnanti non usano lo stesso canale di comunicazione, il che rende le cose un po’ più complicate. Segno mentalmente l’appunto di ricorrere, con i miei studenti, ad un unico sistema, altrimenti si rischia di non capirsi, perché nell’etere tutto è più volatile.
Mentre penso ai nuovi materiali che devo preparare, continuo il riordino delle stampe di Caterina e Silvia: al momento mi destreggio tra video con esercizi di latino in diretta, audiolezioni di letteratura, misurazioni di angoli della figlia maggiore, fotosintesi clorofilliana della minore. Sforno pane in quantità da caserma, rispondo a decine di mail, ne dimentico altrettante e altrettanto importanti. La nostra vecchia stampante stride terribilmente, mia figlia borbotta perché gli esercizi sono troppi e io ho la chiara percezione di non potercela fare a gestire tutto, ora che la chiusura delle scuole è stata prolungata. Ma poi riguardo il computer: c’è ancora la schermata sulla raccolta fondi. C’è chi sta molto peggio di noi, e allora farcela diventa un dovere.
DIARIO 1: In cucina è comparsa una lavagna
DIARIO 2: Il compleanno anti-Coronavirus
DIARIO 3: La perifrastica attiva davanti allo schermo