Quando le famiglie riscoprono le pulizie
Quando le famiglie riscoprono le pulizie
Usciremo sfiniti, ma da case splendenti: quasi tutte le persone con cui parlo mi raccontano che stanno approfittando della quarantena per riordinare e pulire.
Sento amiche che svuotano cassetti con ricordi di adolescenza, parenti che riordinano gli abiti della Comunione dei figli ormai adulti.
Oggi una vicina di casa ha spinto attraverso il cancello del nostro giardino (contatti diretti giammai!) tre macchinine ancora imballate nelle loro scatole: le aveva appena trovate in casa. Le ha regalate a Luciano: i suoi figli ormai sono grandi, e di quei giocattoli mai toccati nessuno si ricordava più. Ho una zia che abita a Bergamo; passa le giornate a svuotare gli armadietti da posate e bicchieri, ricevuti per il matrimonio e mai usati. La zia svuota, lucida, rimette in ordine e poi ricomincia. A meno che non debba uscire per fare la spesa. In quel caso si mette un foulard intorno al viso - modello burqa - un cappello in testa e guanti monouso. Il tutto, considerato per un attimo con lucidità, assomiglia ad una follia collettiva, se non fosse che c'è un motivo molto razionale alla base.
Questa delle pulizie, peraltro, è una smania diffusa: anche l'altra mia zia, a Catania, passa le giornate a lavare biancheria già lavata. In tutto quest'ardente zelo igienico mi sento fuori posto: a casa nostra è come se fosse esplosa una bomba in ogni stanza. Faccio del mio meglio per arginare la valanga del disordine, ma al momento soccombo: trovo pupazzetti ovunque, dal garage alla camera da letto, quattro piani più su. Per andare a dormire devo farmi largo tra un peluche a forma di coccinella e un pentolina di metallo; quando invece mi dirigo verso la lavatrice trovo una scia di scarpe: Luciano deve aver deciso che era il momento di svuotare la scarpiera. In tutta questa confusione, da cui ogni tanto vedo emergere uno dei miei figli, torreggia indisturbato il computer: l'isolamento da Coronavirus si prevede ancora lungo; ma prosegue, più forte di tutto, la scuola. Continuano a collegarsi in videoconferenza gli studenti all'estero, almeno quelli che all'estero sono rimasti, mentre altri compagni stanno tornando in Italia.
Con tutte le classi scambio materiali, tengo videolezioni in diretta e non; partono e arrivano decine di mail di cui ancora non ho il pieno controllo. Anche i professori di Caterina hanno iniziato la didattica a distanza: i ragazzi di prima media ricevono compiti che devono spedire rispettando le scadenze, oppure si collegano in videoconferenza con gli insegnanti. Nel loro caso le lezioni non sono sempre facili: alcuni compagni di classe scatenano il panico disattivando l'audio degli altri e quindi l'interazione ne risente. Ieri Caterina ha iniziato anche le lezioni di strumento via Skype e quindi ora la sua vita è tutta nell'etere. Silvia riceve materiali che stampiamo a ritmi da copisteria (oggi c'è stato un momento di panico quando la stampante si è inceppata) ma niente lezioni in diretta per lei.
La seguo io fra un collegamento e l'altro con gli studenti. Non mi è sempre facile passare dai sonetti di Alfieri alle operazioni in colonna, ma al momento meglio così: se anche lei avesse bisogno di un computer in pianta stabile probabilmente non sapremmo come fare.
Cronache di vita strana. Quasi quasi esco sul balcone, sbatto un tappeto e lo lascio all'aria, vicino al lenzuolo con la scritta "andrà tutto bene". Così, tanto per sentirmi parte del movimento collettivo delle pulizie.