Il sequestro Moro /14
Il sequestro Moro /14
E stato Luciano Azzolini, giornalista de L’Adige, avvocato, per tre volte deputato al Parlamento, sottosegretario alla sanità nel Governo Amato, un amico sincero di Aldo Moro. Lo aveva conosciuto agli inizi del 1971 alla Sapienza di Roma dove insegnava storia, diritto e procedura penale alla facoltà di Scienze Politiche e da allora il loro rapporto di amicizia non si era mai interrotto. “ Lo avevo incontrato poche settimane prima del rapimento, ai primi di gennaio, a Bellamonte. Gli portai come ogni anno, uno strudel preparato da mia madre”.
Davvero Moro era di casa nel Trentino. A Predazzo, a Bellamonte e quasi ogni 19 agosto a Trento, nella chiesa di San Lorenzo, poi ai piedi del monumento da tempo dimenticato, a ricordare e celebrare Alcide Degasperi. Incontrava Francesca la moglie di Alcide, Bruno Kessler, gli altri notabili della Dc che arrivavano da ogni valle. Una presenza silenziosa – lui, una volta a Predazzo, aveva detto “di meditazione” – una parentesi serena e lontana dalla Roma del chiasso, della politica, delle trame, delle vocianti tavolate e della dolce vita che, ovviamente, non gli apparteneva. Aveva scelto il Trentino, così aveva dichiarato in una breve intervista rilasciata agli inizi degli anni Sessanta, perché era stata la terra di Degasperi e la valle di Fiemme affascinato dai boschi fitti, dalle montagne, dall’aria frizzante. Poi c’era l’ospitalità della scuola alpina delle Fiamme Gialle con i suoi uomini che gli garantivano più che una scorta – nessuno si sarebbe mai sognato di importunarlo – una compagnia nelle passeggiate lungo quelle stradine di montagna “dove posso pensare senza sentire squillare i telefoni”, facendo intendere che più del trillare di campanelli era infastidito dal vociare di taluni amici di partito. E perché, non visto e quindi non infastidito, poteva incontrare Silvius Magnago in quell’epoca d’inizio degli anni Sessanta, gli anni della ribellione tirolese sfociata nella “guerra dei tralicci”.
Forse la prima presenza di Moro nel Trentino risale al 4 gennaio del 1965. Tutto era cominciato nel dicembre dell’anno prima sui cancelli della Sloi, la fabbrica del micidiale piombo tetraetile di via Maccani . In quel mese, anche se il boom economico che aveva caratterizzato l’inizio del nuovo decennio accennava a finire, c’era in tutti una sensazione di benessere. A Trento, le vie del Giro al Sass erano illuminate a festa e affollatissime, i negozi pieni perché in vista del Natale, si spendeva con facilità. La Lira era forte, c’ era lavoro, la politica appariva stabile, i commercianti – cosa abbastanza rara – erano soddisfatti, nei bar dominavano il Campar e il Cinar e il prosciutto avvolto sui grissini. Non era la movida, comunque un appuntamento fra amici.
D’ improvviso in via Manci si era sentito un trillare di fischietto, poi dieci, venti fischi acuti. Si sentono scandire slogan e poi cantare Bandiera Rossa. Diamine, Bandiera Rossa cantata così, in pubblico, in strada, nel centro di Trento, nei giorni che sono quasi la vigilia del Natale. Ma dove andremo a finire? Le auto si fermano, la gente s’addossa ai muri delle case mentre avanza un corteo e i passanti vedono, con crescente stupore, un gruppo di uomini con cartelli con la scritta: “La Sloi uccide” e “Nella benzina che Voi usate c’è un po’ della nostra salute”. E quel “Voi” era scritto proprio con la “V” maiuscola perché in quell’anno ormai lontano nel tempo e svanito dalla memoria, i cortei erano rarissimi e, verrebbe voglia di dire, educati, anzi rispettosi. Gli operai soffiavano nei fischietti di plastica comperati dalla Cgil; qualcuno gridava “alla Sloi si muore”. Dietro il corteo, i poliziotti della “squadra politica”. In borghese, con il cappotto grigio, il cappello di feltro con il nastro nero, l’ombrello nero anche quello e bene arrotolato, da sembrare un lungo manganello. Il giornale Alto Adige aveva raccontato con puntualità quella protesta con il titolo – la data è 12 dicembre 1964 – “La fabbrica ci avvelena”. Nella cronaca si legge che per trenta operai della Sloi la strenna di Natale è la lettera di licenziamento e la direzione aveva deciso di lasciare a casa quelli malati, quelli colpito dalle esalazioni del piombo tetraetile, il gas trenta volte più micidiale di quello impiegato dalle armate austro germaniche nel giorno di Caporetto. In quella manifestazione c’era qualche cosa di diverso: non si chiedevano aumenti di salario o riduzione delle ore di lavoro: era un’invocazione al diritto alla salute.
Lo sciopero era continuato; in via Maccani, sui cancelli della Sloi c’era un presidio permanente. Da ricordare che, dopo oltre mezzo secolo, quella zona è ancora ricca di macerie, il terreno è sempre gravemente inquinato come lo sono le rogge che si dipartono dalla zona con Lorenzo Dellai a dire, quando era sindaco di Trento: “Non possiamo consegnare ai nostri nipoti una bomba ecologica innescata”. Appunto sui cancelli c ‘era un presidio permanete. Giorno e notte gli operai e i loro familiari stavano attorno ad una misera tenda fatta con alcuni teli cuciti fra loro e sulla quale era stata issata una bandiera rossa. Quella tenda era diventata il simbolo di una lotta sempre più strenua che, giorno dopo giorno, coinvolgeva un numero crescente di cittadini: la città non voleva restare estranea ad una vicenda che, finalmente lo si cominciava a capire,che era drammatica. Il socialista Nereo Manica e il comunista Sergio De Carneri avevano presentato un’interrogazione in Regione che svelava la tragedia degli operai Sloi “ricoverati d’urgenza nell’ospedale psichiatrico di Pergine”; la notte di Natale gli operai l’avevano trascorsa assiepati attorno ai fuochi accesi sul piazzale davanti il cancello d’ingresso allo stabilimento mentre in Largo Carducci attorno alla tenda della solidarietà, si erano radunati molti cittadini che, dopo la Messa di mezzanotte, avevano appreso dai sindacalisti e dai cronisti e dai cronisti dei giornali che erano stati licenziati 40 operai.
Proprio in quella vigilia di Natale era successo un fatto drammatico. Un uomo di 33 anni che aveva appena ricevuto la lettera di licenziamento e intossicato dal piombo tetraetile stava per essere ricoverato nella clinica delle malattie del lavoro di Padova, si era presento al picchetto tenendo in braccio un bimbo di poche settimane e un coltellaccio. Gridava frasi senza senso, ma era stato disarmato, consegnato agli infermieri di un’autolettiga arrivata dal Santa Chiara ed era finito in manicomio.
E’ mercoledì 30 dicembre, si sapeva che Aldo Moro aveva scelto Predazzo per una breve vacanza invernale e balenò un’idea: “Andiamo a trovarlo” dissero i lavoratori attorno alla tenda e si recarono dai sindacalisti Lelio Lodi e Ugo Panza. L’idea gettò nel panico la Democrazia Cristiana, il Commissario del Governo Giulio Bianchi di Lavagna, la questura, i carabinieri, ovviamente la direzione della Sloi e l’associazione industriali. All’alba del 1965 sui giornali trentini era ancora molto difficile parlare di scioperi e l’idea dell’incontro fra gli “scioperanti” – questo era il termine ricorrente – e il presidente del Consiglio dei ministri appariva a dir poco temeraria. “Figurarsi” dissero nei palazzi del potere. Ma Moro disse subito di sì e il 4 gennaio due operai – Mario De Rio e Mario Zeni – vennero ricevuti dal presidente. Ecco, Moro arriva dalla consueta passeggiata, abbreviata dall’urgenza dell’incontro. Zeni e De Rio sono seduti su due poltrone, Moro li saluta cordialmente, li ascolta, prende nota, promette il suo interessamento mentre il ministro della Sanità interessato dal sottosegretario Orlando Lucchi e dall’onorevole e avvocato Renato Ballardini, decide a sua volta di ricevere una delegazione di operi Sloi. Si fa una colletta per pagare il viaggio a Roma, in treno ovviamente e in seconda classe, ma la Sloi fa sapere che il blocco della produzione sta favorendo le industrie concorrenti. Correva l’anno 1965, il sindacato non era in grado di resistere alle molte pressioni, il governo del Trentino era assente, Roma come sempre lontana. La Sloi licenziò gli operai malati. Ne assunse altri e riprese la produzione del micidiale pt, il piombo tetraetile.
(14. Continua )