Il sequestro Moro /22
Il sequestro Moro /22
“Non vi voglio ai miei funerali” aveva scritto Moro al “Caro Zaccagnini…” e agli “amici” di Piazza del Gesù che lo avevano abbandonato. “Siamo quasi all’ora zero; mancano più secondi che minuti. Siamo al momento dell’eccidio”. Quelli delle bierre avevano presentato il conto alla Repubblica italiana. Componendo con oculatezza – questo lo ha scritto il giornalista Sandro Viola sulle pagine di “la Repubblica” – “la lista dei prigionieri comunisti da liberare in cambio della vita di Moro, le Br tentavano di avviare un’operazione unificante delle frange armate dell’estrema sinistra”, composta dai proletari comunisti, dalle avanguardie dei movimenti che dicevano di lottare e combattere per una società comunista. Una moltitudine di sigle che le Br volevano raccogliere.
In quell’ epoca aleggiava un progetto rivoluzionario forse di stile cubano visti gli approcci dell’editore Giangiacomo Feltrinelli, fondatore dei Gap, con Fidel Castro che trovava ampio e consenziente spazio su molti quotidiani. I brigatisti, oltre a tentare di disarticolare la Dc e pensando, magari, ad un partito combattente, cercavano di portare in salvo i militanti condannati a pene molto pesanti. Così attorno a Sante Notarnicola, definito “anello di congiunzione tra criminalità comune e violenza politica”, scelsero altri dodici personaggi chiamati “figuri” dai giornali dell’epoca: quelli del gruppo “22 Ottobre”, i nappisti e i capi storici delle bierre: Curcio e Franceschini e delinquenti comuni che nelle prigioni cercavano di portare avanti una lotta per migliorare la condizione carceraria che in alcuni istituti di pena era davvero insopportabile . E con uno dei loro comunicati contrassegnati dalla stella a cinque punte, avevano messo alle strette quanti avevano sottoscritto gli appelli umanitari che volevano Moro libero ma senza condizioni. “Ora queste insigni personalità hanno tredici nomi di altrettanto condannati a morte, e per la liberazione dei quali hanno la possibilità di appellarsi alla Dc e al suo governo in nome della stessa umanità e dignità cristiana o altri supremi ideali, dimostrando così la loro imparzialità ed estraneità ad ogni calcolo politico”.
Si capisce che nella prigione di via Montalcini affittata da Anna Laura Braghetti, brigatisti e il prigioniero hanno discusso sul tema degli appelli umanitari perché Moro scrive a Bettino Craxi una lettera in vero poco nota. “E’ da mettere in chiaro che non si tratta di inviti rivolti agli altri di compiere atti di umanità, inviti del tutto inutili, ma di dar luogo con la dovuta urgenza, ad una seria ed equilibrata trattativa per lo scambio di prigionieri politici. Ho l’impressione che questo o non si sia capito o si abbia l’aria di non capirlo. La realtà è però questa, urgente, con un respiro minimo: non c’ è un minuto da perdere, ogni ora che passa potrebbe renderla vana. Ma io ti scongiuro di fare in ogni sede opportuna tutto il possibile nella direzione giusta”.
Succede di tutto in poche ore. Pci, Psi e Psdi – i socialdemocratici – dicono un deciso no alla proposta di rivedere le carceri speciali avvertendo che lo Stato non può e non deve venire a patti con i terroristi; Amintore Fanfani smentisce le voci che erano circolate a Piazza del Gesù sui contrasto fra i leader delle varie correnti e si schiera sulla linea di Zaccagnini; intervistata da alcuni giornalisti, Ileana Leonardi moglie di Oreste il caposcorta di Moro aveva detto: “Spero ci sia un’ altra strada per liberare Moro. Ma lo scambio no, mio marito è al cimitero. Se mettessero fuori degli assassini proverei molto dolore”.
L’ avvocato Sergio Spazzali che a Torino difende i brigatisti dichiara ai giornalisti che il Governo dovrebbe applicare le norme internazionali contemplate dalla Convenzione di Ginevra che consentirebbe lo scambio di prigionieri, dimostrando che in Italia c’è uno stato di guerra civile. Parlando in italiano, Kurt Waldheim segretario generale dell’Onu, attraverso la Rai e via satellite da New York, rivolge un appello alle Br attribuendo ai terroristi una “causa” e quindi un ideale. Dunque un riconoscimento che arrivava addirittura dall’Onu. La frase aveva suscitato forti malumori nei palazzi della politica nazionale. Si rattoppò affermando che Waldheim voleva dire “propositi”e disse “ideali”. Insomma un mero errore di traduzione. Si capisce che il sequestro sta per avere un epilogo e la famiglia Moro chiede l’intervento del Maresciallo Tito, il leader carismatico della, all’epoca, Jugoslavia molto amato dai rivoluzionari di casa nostra e mentre nella blindata Torino dove per il processo ai brigatisti lo schieramento di polizia è gigantesco, viene ferito con quattro proiettili alle gambe Sergio Palmieri addetto alle relazioni sindacali nel reparto carrozzeria della Fiat Mirafiori. Pallottole a Torino, fiamme a Trento dove in via Grazioli, a firma della “Volante Rossa” che in città firmerà molti attentati, viene bruciata l’automobile del professor Giuliano Morandi, apprezzato primario del reparto di ostetricia e ginecologia dell’ospedale Santa Chiara.
Franca Rame la famosa attrice militante della sinistra extraparlamentare, molto vicina a Soccorso Rosso, viene autorizzata dal ministro di Grazia e Giustizia ad incontrare in carcere Curcio ed altri brigatisti “nel tentativo di indurli a chiedere pubblicamente la liberazione di Moro. Il gruppo storico detenuto rifiuta”. Intanto il presidente della Croce Rossa Internazionale dichiara che non esistono le condizioni previste dalla convenzione di Ginevra; è’ pronta a rivolgere un appello umanitario, anche se è molto scettica visto che quello del Pontefice e del segretario generale dell’Onu sono caduti nel vuoto. Sandro Pertini esce dal suo riserbo per dichiarare che è sempre stato contro ogni trattativa con le bierre. Afferma: “Trattare significherebbe offendere la memoria dei molti poliziotti, carabinieri, cittadini assassinati spietatamente dalle Br”. Pertini era stato al vertice della guerra partigiana dove ci furono molti scambi di prigionieri e il suo autorevole no, dopo quello del Pontefice che chiedeva “in ginocchio” la liberazione del presidente della Dc senza condizione, lasciò nello sgomento quanti invocavano la trattativa.
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E’ il 28 aprile, un venerdì quando a Tribuna Politica il giornalista Jader Jacobelli chiede al Presidente del Consiglio: “Il rifiuto a trattare con le Brigate Rosse è dunque definitivo?” Ricordo che a Trento, nel bar Città di Piazza Duomo dove, di turno al giornale Alto Adige (nelle redazioni non c’erano, come oggi, i televisori) ero andato ad ascoltare quella Tribuna che si capiva molto importante. Il bar era pieno, il fumo delle sigarette soffocante. Quando sul teleschermo comparve la figura di Jacobelli, calò un inaspettato silenzio e molti si alzarono in piedi per avvicinarsi all’apparecchio. Per ascoltare meglio il verbo del Presidente del Consiglio. Giulio Andreotti rispose con voce chiara, lenta, quasi cadenzata, senza giri di parole: “Noi, quando iniziamo la vita di un governo giuriamo fedeltà alla Costituzione della Repubblica, cioè giuriamo di rispettare e di fa rispettare le leggi. E in più aggiungo: la richiesta di liberare fuori dalle procedure della legge tredici detenuti e non certo per fatti irrilevanti, è assurda. Pensate che cosa significherebbe questo nei confronti dei carabinieri, degli agenti di pubblica sicurezza, degli agenti di custodia che, con grave rischio e tanti sacrifici, stanno a servire lo Stato. Pensate se avessero il sospetto che alle loro spalle e violando la legge, il Governo trattasse con chi della legge ha fatto veramente scempio e continua a fare scempio”.
Non ricordo il resto dell’intervista, ma solo qualcuno che disse ad alta voce: Moro è già morto mentre il bar si svuotava in fretta e qualcuno spegneva le luci. Piazza Duomo era quasi vuota, buia. In quel momento si capì che ogni speranza era definitivamente perduta.
(22. Continua)