La creatività degli studenti a casa
La creatività degli studenti a casa
I ragazzi ascoltano musica. E qualche volta la scrivono pure. Girano filmati, scattano foto. Parlano di quanto sia difficile vivere per 24 ore al giorno in famiglia, seguire la scuola a distanza. Allenarsi usando taniche piene d’acqua al posto dei pesi. Della scuola vera non ci mancano i programmi: li stiamo trasmettendo comunque, anche in video e audio. Qualche insegnante è perfino più avanti del previsto nello svolgimento.
Da casa le domande sono meno frequenti e quindi si riesce a procedere rapidamente. Ammesso che conti qualcosa aggiungere due righe in più nell’elenco degli argomenti di fine anno, neanche fosse la lista della spesa. Ma la classe fisica non è solo contenuto disciplinare. È il calcio sotto il banco, il suggerimento tentato e mai arrivato perché il professore sta guardando.
È far arrabbiare l’insegnante perché basta ragazzi, vi ho già detto che il tema non si sposta. Tutto questo non è un contorno del processo di apprendimento: ne è parte. Per riprodurre il calcio del compagno di banco ho inaugurato in ogni classe un forum di scrittura creativa: riempitelo con quello che volete, è stata l’unica consegna. Uno dei primi lavori è stato un filmato: «Devo ancora capire se questa situazione stimola la creatività o la follia» ha scritto l’autrice. Poi sono arrivate foto di pizze, torte, perfino un byrek albanese. Anche gli studenti si sono appassionati alla cucina. Un ragazzo si è ritagliato lo spazio di critico musicale. Regolarmente inserisce foto di playlist con commenti da esperto, che il più delle volte fatico a capire. Perdonatemi, ma la contaminazione melodica non è il mio forte. E poi il restauro della camera con l’aiuto del papà, immagini di oggetti ritrovati sistemando soffitte e cantine.
All’inizio abbondavano le foto scattate dalle finestre, con commenti malinconici da carcerati dietro le sbarre. Sono comparsi disegni, tatuaggi, poesie. Ora arrivano i racconti delle prime corse al parco, dell’incontro con parenti e fidanzati, perché le videochiamate non bastano, nemmeno a diciott’anni. Anzi, soprattutto a diciott’anni. Nel mezzo c’è la malattia temuta o avuta, ci sono le preoccupazioni per un genitore che lavora in ospedale. I tamponi che fanno male, e poi aspettare l’esito fa ancora più male: tutto questo hanno raccontato gli studenti. Qualche pagina finirà nell’annuario del liceo. Altre rimarranno nell’etere. A me qualche volta è sembrato strano dover correggere un apostrofo o un sinonimo. Ma siamo comunque a scuola, anche se la stanza è virtuale. Sono pur sempre esercizi di scrittura. Alcuni studenti sono perfino riusciti a trovare nella reclusione qualche aspetto positivo.
La partita serale a carte con i genitori, il tempo per addestrare un cane. Riprendere a suonare uno strumento che si era abbandonato da tempo, o mettere la propria voce sulle note di un rapper per cantare la clausura. Aggiungere al testo qualche insulto, perché a volte abbiamo anche voglia di insultare, oltre che di uscire di casa. Guardo lo schermo dal lato dell’insegnante e penso a come valorizzare tutte queste scintille. Tra le poche indicazioni sensate che sono giunte sulla valutazione c’è l’incoraggiamento a premiare la partecipazione. Tenterò di tradurre questi diari collettivi, diventati ormai immensi, in qualche buon voto. Perché del processo di apprendimento faccia parte anche l’aspetto umano. Nell’attesa di tornare a rimproverare dal vivo i calci al vicino di banco.