Ottant'anni fa la Seconda Guerra Mondiale
Ottant'anni fa l'Italia entrava in guerra nel Secondo Conflitto Mondiale. “Folgorante annuncio del Duce”. E’il festoso titolo de Il Brennero che racconta la dichiarazione di guerra. Era il 10 giugno del 1940, anno bisesto,“anno funesto” come recita un vecchio detto che, purtroppo, spesso ci azzecca, visto che lo è anche l’attuale. E’ la ricorrenza di santa Margherita vedova e anche quell’appellativo si dimostrerà di spiccato quanto immediato malaugurio. Il giorno prima c’era stato un altro titolo importante: il varo a Trieste della corazzata Roma, che con la Littorio era la nave più moderna e potente dell’epoca. Anche il varo della Regia Nave Roma era stata motivo di festa alla Casa Littoria. Le altre notizie?
Tutte sulle travolgenti avanzate dei tedeschi in Francia, le vittorie dei sommergibili germanici sui mari attorno all’Inghilterra e della Luftwaffe che pareva invincibile.
Quel giorno, ricordava Mario Paoli di Pergine, redattore del giornale fascista di Trento, faceva molto caldo e molti trentini sfoggiavano una marcata abbronzatura per la domenica trascorsa sui prati delle Viote o al lago di Caldonazzo raggiunto da molti con l’autarchica bicicletta resa ancor più popolare da un ragazzo di vent’anni, quel Fausto Coppi che aveva vinto il Giro d’Italia. Fino a qualche mese prima era il garzone a Novi Ligure nella salumeria di Domenico Merlano; faceva le consegne in bicicletta, la gerla piena di pane, formaggi, salumi per 5 lire alla settimana quando si canticchiava “Se potessi avere – mille lire al mese”. Sul traguardo dell’Arena di Milano era finito il Giro e la fotografia del futuro grandissimo campione compariva sulle prime pagine di tutti i quotidiani. Era finito anche il campionato di calcio con la vittoria dell’Ambrosiana-Inter sul Bologna. Certo, c’era la guerra, ma la facevano i tedeschi e la Blitzkrieg, la guerra lampo, stupiva, affascinava, incuriosiva. Sembrava un gioco e Hitler un genio. Nelle edicole di Trento, più del settimanale Tempo si vendeva Signal ideato sul modello dell’americano Life che nel 1936 aveva creato un nuovo modo di fare giornalismo. Signal era di alta qualità, le fotografie non mostravano la morte, ma volti di soldati sorridenti e vittoriosi accovacciati su ogni sorta di veicolo, i “miracoli” della industria bellica germanica.
E spaventosi erano i “miracoli”militari. Il 6 settembre del 1939 la Wehrmacht, distrutta l’armata polacca, era entrata a Cracovia; il giorno dopo il governo polacco si era trasferito a Lublino per poi volare a Londra. Era arrivata la tregua, ma il 9 aprile del Quaranta venivano occupata la Norvegia e la Danimarca e nella notte del 9 maggio un lettera di Hitler consegnata dall’ambasciatore di Germania Hans Georg von Mackensen al Ministro degli Esteri Galeazzo Ciano annunciava l’offensiva sul fronte occidentale e invitava il Duce, abbacinato dalle vittorie tedesche, “a prendere le decisioni che riterrete necessarie per il futuro del vostro popolo”. Erano le 15 di quel 10 giugno quando gli altoparlanti Magneti Marelli collocati agli angoli delle piazze cittadine emettono le prime voci di prova poi le musiche di Giovinezza e della Marcia Reale ordinando la partecipazione all’adunata con quel perentorio: “stasera alle ore 18, dal balcone di palazzo Venezia, Benito Mussolini parlerà al popolo italiano”. Tutti avevano capito che l’Italia stava per entrare in quella guerra che stava per finire perché le truppe tedesche avevano ormai invaso la Francia. Così la gente, fiumane di gente in tutte le città, si era radunata nelle piazze. In colonne serrate, i trentini si erano mossi dalla sede della Gil, la Gioventù italiana del Littorio, l’edificio di colore rosso che sorgeva dove oggi, in via Pozzo, c’è la stazione delle autocorriere, dalla Casa Littoria di Largo Porta Nuova e da piazza Alessandro Vittoria per radunarsi in massa, in Piazza Littoria, l’attuale Piazza Battisti. Le pagine del giornale raccontano che alle 18 precise l’annunciatore scandisce che “la figura del Duce si staglia sul balcone per il fatidico discorso”, quel “Combattenti di terra, di mare e dell’aria. Un’ora segnata dal destino batte…”. L’urlo è incontenibile, prolungato, spontaneo. Tutti erano convinti che la guerra sarebbe stata brevissima, vittoriosa, ricca di glorie e di bottino e alla parola d’ordine“vincere” la risposta fu un“vinceremo”urlato mentre risuonavano gli inni di Giovinezza, l’Inno a Roma quel Sole che sorgi e La Marcia Reale. Il Duce non indugiò sulla travolgente avanzata dei tedeschi che in Francia avevano superato la Senna appena ad Ovest di Parigi e stavano accerchiando la capitale dalla quale il governo era già fuggito mente gli inglesi avevano evacuato Dunkerque. Era finita la dròle de guerre, la guerra per finta con i tedeschi che il 14 giugno issavano la svastica sulla Torre Eiffel.
Sembrava che la guerra fosse davvero conclusa e il Duce ci rimase male perché il Regio Esercito si era fermato all’imbocco dei sentieri che portavano al confine francese e aveva conquistato Mentone, ossia nulla come scrisse il giornalista Indro Montanelli testimone di quegli avvenimenti. Era il frutto dell’offensiva sul fronte occidentale contro la Francia già agonizzante.
Quella notte a Trento, come in tutte le città d’Italia, suonarono le sirene d’ allarme. Era appena iniziato il coprifuoco che imponeva di tenere spenta ogni luce. Ma nessuno si mosse per raggiungere i rifugi, cioè le cantine degli edifici. Tutti erano sicuri che la guerra, appena cominciata, fosse già conclusa. E si addormentarono sereni.
(4. Continua)