Ma quanti sono gli immunizzati?

Ma quanti sono gli immunizzati?

di Michele Pizzinini

Come gli appassionati che si trasformano in allenatori, in tempo di coronavirus - come ha scritto anche il direttore - siamo tutti diventati virologi ed epidemiologi. Anch’io, essendo stato direttamente colpito da questa malattia, ho sviluppato interesse per l’argomento: le mie figlie, per prendermi in giro, mi chiamano “il Burioni di casa”.

Volevo condividere con voi alcune riflessioni, in particolar modo sui soggetti guariti, di cui si parla poco.

Si sente spesso dire, e talvolta si legge, che non sappiamo se questa malattia faccia produrre anticorpi (IgG) e soprattutto non sappiamo se la copertura sarà solo transitoria, più o meno duratura o permanente. Io mi chiedo, ma vi pare possibile che una malattia tanto devastante non scateni nell’organismo una reazione di difesa tale da durare a lungo?

Se questo fosse vero, metterebbe in crisi tutta la logica che sta alla base delle vaccinazioni. Come posso pensare che un vaccino che, quando arriverà, sarà stato realizzato contro virus morti o attenuati o semplicemente contro alcune parti del virus, come le spikes, ovvero quegli uncini bitorzoluti che stanno sulla superficie del virus, che ormai conosciamo tutti bene. Com’è possibile che questi possano determinare un’immunizzazione più intensa e duratura del virus vivo che ha prodotto la malattia?

Qualsiasi vaccino, che sia contro virus o batteri: del morbillo, della difterite, della pertosse, della polio, della rosolia, dell’epatite, ecc. ha lo scopo di sviluppare una “malattia” blanda, ma sufficiente da far produrre anticorpi che rimangono per tutta la vita. E il coronavirus, in grado di indurre una malattia così grave e talvolta mortale, dovrebbe determinare solo una tenue risposta di breve durata? Non ci credo!

Vi racconto la mia esperienza famigliare perché è abbastanza interessante. Io sono stato ammalato dal 19 al 25 marzo e quindi anche tutti i miei famigliari sono stati messi in quarantena stretta, data l’alta probabilità di contrarre il virus, e trattati come se fossero ammalati. Nella prima metà di aprile abbiamo tutti fatto il doppio tampone, alla ricerca del virus e tutti siamo risultati negativi. Dunque il virus non alloggia più nei nostri nasi e in casa nostra.

Alcuni giorni dopo abbiamo avuto modo di fare il test rapido per la ricerca degli anticorpi, IgG e/o IgM contro il covid-19. Questi test sono simili ai test di gravidanza, che in caso di positività presentano su una striscia una linea più marcata e si eseguono con una goccia di sangue ottenuta pungendo un dito. La risposta si ottiene nel giro di 10 minuti.

I risultati sono questi: io positivo, mia figlia maggiore che aveva perso il gusto per una settimana, senza alcun altro sintomo, positiva, la seconda figlia che aveva fatto un giorno di febbre a 38,5° il 27 marzo, test positivo, mia moglie che ha vissuto con noi per 40 giorni, negativa sia ai tamponi che al test immunologico.

In sostanza io ho avuto la polmonite tipica, le mie due figlie non si erano praticamente accorte di aver avuto la malattia e mia moglie non l’ha contratta. Chissà perché? Per prenderla in giro le dicevamo che di lei avevano paura anche i virus. A parte le ironie, possiamo ipotizzare che qualcuno sia proprio naturalmente resistente al virus.

Alla luce di questi risultati mi è venuto spontaneo pensare che, mentre noi ci ostiniamo a fare i tamponi solo su adulti e anziani, il vero serbatoio di portatori sani siano proprio i giovani. E non sappiamo nulla dei bambini, che, da quanto si legge, fino ai 10 anni non sviluppano malattia. Ma non la contraggono o l’hanno avuta senza sintomi e si sono immunizzati?

A questo punto, sarebbe interessante sapere chi e quanti hanno contratto la malattia in Trentino e, senza ridurre il numero dei tamponi, potrebbe utile uno screening sierologico su un campione di tutta la popolazione, stratificato per età a partire dai 5 anni in su. Se 30 infermieri, senza sovraccaricare medici di famiglia e pediatri, distribuiti nei vari presidi sanitari del territorio, facessero i test sierologici con questi kit che, non saranno precisissimi, ma ci consentirebbero, nel giro di poche settimane, di avere una fotografia della situazione reale.

Se il test riscontrasse la presenza di IgM, gli anticorpi che si sviluppano in corso di malattia, permetterebbe di intervenire subito ed avviare immediatamente il soggetto all’esecuzione del tampone, perché sta portando in giro il virus, mentre i soggetti che producono IgG, previa conferma di esame sierologico in laboratorio e tampone, potrebbero ottenere il certificato di guarigione.

E una volta che si è guariti si è guariti! È bene che la gente sappia che una persona guarita non prende più il virus e nemmeno lo rilascia.
Uno studio dell’Imperial College di Londra ha stimato che la percentuale di popolazione, infettata dal virus in Italia sia già tra il 6-10%, e tra qualche mese almeno 1 persona su 3 sarà immune e, in attesa del vaccino, se vogliamo che l’Italia riparta, i guariti potranno e dovranno riprendere a lavorare e non dovrebbero più sottostare a tutta la serie di limitazioni che per forza deve rispettare chi la malattia non l’ha avuta. Dovremo individuare un metodo, che sia un bracciale o una scheda, come la carta di credito, con un codice a barre o un QR code, che permetta ai soggetti immuni di attestare la guarigione e di avere un certo margine di libertà.

I guariti dovrebbero poter andare al mare dove e quando vogliono prima che chiudano tutti gli alberghi e si dovrà individuare un sistema internazionale di acquisita immunità, che consenta di prendere l’aereo per qualsiasi destinazione prima che falliscano tutte le compagnie aeree.

Se un idraulico o un barbiere è guarito potrà e dovrà, per il bene dell’Italia, riprendere a lavorare, potrà circolare in macchina o a piedi, anche senza mascherina, con il suo bel certificato di guarigione in tasca. Potrà andare al ristorante dove e quando vuole e magari anche andare a farsi una corsetta senza mascherina. E perché no?
Ma magari la faccio un po’ troppo semplice e qualcuno si starà già chiedendo: «Ma perché el Pizzinini no ‘l torna ale so diete?».

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