Si va a braccetto con la demagogia

di Alberto Faustini

La demagogia è una pessima compagna di viaggio. Purtroppo, anziché evitarla, il presidente Fugatti ultimamente tende a prenderla a braccetto. Ed è strano, perché di solito, contrariamente a Salvini e più in linea con gli amici Zaia e Maroni, preferisce essere popolare più che populista.

Gli ultimi due esempi (di demagogia) arrivano dalla battaglia sulle domeniche e dal braccio di ferro sui provinciali (al governatore piace vincere facile, trattandosi dei suoi dipendenti). Senza scomodare John Donne o le pubblicità che hanno reso popolari le sue parole, il presidente forse non sa che «nessuno è un'isola». Nemmeno il Trentino, anche se a qualcuno piace ancora pensarlo. Fra l'altro, John Donne, dopo aver scritto che «nessun uomo è un'isola», aggiungeva che «ogni uomo è un pezzo del continente». E qui sta il punto: chiudere i negozi la domenica significa bombardare un settore già in ginocchio (il commercio, preso nel suo complesso). Significa ignorare che tornare indietro è complicatissimo (chi vuole o deve fare la spesa o altri acquisti nel giorno dedicato al Signore andrà semplicemente altrove).

Significa mettere a rischio centinaia di posti di lavoro per difendere un principio che in sé è bello («la domenica andate a messa», dice il presidente invitandoci a scoprire altro rispetto dalla corsa agli acquisti), ma che è ormai fuori dal tempo. E significa infine rischiare di staccare l'isola trentina - proprio adesso che c'è bisogno di correre, per cercare di uscire da un'emergenza che lascerà su ognuno di noi segni a dir poco profondi dal punto di vista economico ancor prima che sanitario - dal resto del continente. Forse al presidente sfugge che moltissime persone (non certo solo nei giornali, negli ospedali o nella polizia) da tempo lavorano su sette giorni, con riposi e giorni di recupero. E dunque la domenica hanno la necessità (non solo il desiderio), di fare la spesa e anche altri acquisti.

Velleitario, fra l'altro, pensare che una persona non vada a messa perché deve andare al supermercato. Premesso che le due cose non sono fra loro per così dire alternative, la crisi del mondo della chiesa deve preoccupare, così come deve preoccupare una società che preferisce l'avere all'essere, ma non è certo chiudendo le porte dei negozi che si riapriranno d'incanto quelle delle chiese. La crisi economica e sociale - una crisi di cui solo fra un paio di mesi inizieremo a vedere gli effetti reali - ha bisogno di idee e di fantasia, non di chiusure. Nella legge per fortuna c'è qualche deroga, ma non considerare l'intero territorio come turistico, lasciando grande libertà agli operatori - ovviamente nel pieno rispetto di necessari accordi sindacali - resta un errore. Penalizzare Trento e Rovereto è poi uno sgambetto.

Sarà certamente Roma a rispedire al mittente questa legge sulle chiusure domenicali, ma l'autonomia quest'operazione di retroguardia e questa figura poteva proprio risparmiarsele. Analoga la demagogia di cui è intrisa la scelta di far tornare tutti i dipendenti della Provincia a palazzo. Il presidente e la giunta provinciale avevano davanti la sfida della modernità: cogliere il dramma (e l'esperienza) del coronavirus per cambiare modo di lavorare, modo di gestire la macchina, modo di organizzare il personale di quella che è di fatto la più grande azienda di questa terra. Ma s'è preferito il ritorno al passato. Dando l'impressione - all'interno e all'esterno del Palazzo - che i dipendenti siano quasi dei privilegiati da punire e bastonare anziché dei preziosi collaboratori da proteggere. E' vero: tutti i dipendenti pubblici hanno conservato lo stipendio in mesi nei quali altri hanno perso lavoro e stipendio. Ma questa si può forse considerare una colpa?

La soluzione è aiutare chi è in difficoltà; non punire chi è "colpevole" d'aver lavorato - mettendosi in gioco anche con mezzi propri - da casa. A proposito: chiamarlo smart working rende la cosa più esotica, ma sempre di lavoro si tratta. E il lavoro di ogni singolo, per ogni buon capo, è facilmente misurabile, a prescindere da dove sia la scrivania del dipendente. Dunque la Provincia potrebbe davvero cercare nuovo vento e inventarsi - stimolando gli altri uffici pubblici a fare lo stesso - un modo di lavorare originale e diverso. Attento alle esigenze delle famiglie, ai problemi ambientali, al traffico (il problema dei pendolari si potrebbe risolvere in poche ore), alle questioni di una società che ha bisogno di liberarsi una volta per tutte di schemi vecchi e ovviamente anche rispettoso delle esigenze degli utenti.

Al presidente della Provincia andrebbe anche ricordato che nel solo 2019, in Italia, 37 mila donne hanno lasciato il lavoro: impossibile, per quasi tutte loro, conciliare figli e occupazione. I numeri dell'ispettorato nazionale del lavoro dicono che l'Italia è ferma agli anni Cinquanta. Con un'aggravante: per mille ragioni, oggi sta venendo meno il supporto (quasi sempre indispensabile e insostituibile) di nonni e parenti. La nostra terra è da tempo all'avanguardia per quel che riguarda il welfare e una serie di servizi, ma forse, prima di inventarsi strani orari e prima di comprare pannelli di plexiglas e mascherine per mettere in sicurezza i dipendenti, si poteva immaginare di puntare molto di più sulle nuove tecnologie, su un'altra idea di vita, di lavoro, di possibilità di carriera. Perché persino le battaglie sulle parità di salario e appunto di carriera - anche se qui le cose vanno leggermente meglio rispetto a quanto accade nel resto del Paese - assumerebbero tutto un altro aspetto se i dipendenti (donne e uomini) potessero davvero sperimentare il lavoro elastico, con una presenza in ufficio diversa da quella di oggi e con il resto della presenza garantita da remoto e dunque da qualsiasi altro luogo.

Ancora una volta l'autonomia ha (aveva?) davanti a sé la possibilità di trasformarsi in esempio di innovazione, in avamposto culturale e sociale. Bello aprire prima degli altri. Ma molto più bello sarebbe abbattere le discriminazioni di genere e rivoluzionare l'amministrazione. E chi ha puntato sul ritorno in ufficio dei provinciali per strappare un buono pasto in più (cosa non vera, come emerge dalla lettere che abbiamo pubblicato anche in questi giorni) potrebbe farsene una ragione. O avere un contributo.

@albertofaustini

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