Sintini: la mia battaglia contro il tumore
Ci sono momenti in cui si sarebbe disposti a pagare per ascoltare un lieto fine così. Giacomo "Jack" Sintini lo sa e dopo aver sconfitto un linfoma è felice di girare l'Italia raccontando la sua vicenda. L'altra sera, all'oratorio S.Gabriele di Arco, "Spazio Giovani" ha organizzato un incontro con il campione di pallavolo, vincitore dell'ultimo scudetto con la Trentino Volley. Una serata in cui si è mescolato dolore e gioia, una lezione di vita e coraggio, un invito a fare del bene
ARCO - Ci sono momenti in cui si sarebbe disposti a pagare per ascoltare un lieto fine così. Giacomo "Jack" Sintini lo sa e dopo aver sconfitto un linfoma è felice di girare l'Italia raccontando la sua vicenda.
L'altra sera, all'oratorio S.Gabriele di Arco, "Spazio Giovani" ha organizzato un incontro con il campione di pallavolo, vincitore dell'ultimo scudetto con la Trentino Volley. Una serata in cui si è mescolato dolore e gioia, una lezione di vita e coraggio, un invito a fare del bene. Al termine della serata Sintini ha ritirato l'assegno con la cifra che i ragazzi hanno raccolto in agosto grazie al torneo "Mettiamoci in gioco contro il cancro": poco meno di mille euro destinati alla ricerca.
La malattia di Sintini si era a lungo camuffata da mal di schiena. Prima di riceve la diagnosi, tremenda per chiunque, Giacomo temeva, nel peggiore dei casi, si trattasse di un'ernia. «Il medico mi disse: cancro. Panico. Poi è successa una cosa che per me è un miracolo. Un pensiero mi diceva: "ecco, è quello che volevi! Preghi tutte le sere che non capiti nulla a tua figlia, piuttosto venga a te. Eccoti accontentato". E in quel momento mi calmai, pensando che meglio a me, che a mia figlia». Era marzo 2011, Jack aveva 32 anni.
Cominciò così un anno di sofferenze. «Iniziai cicli pensatissimi di chemioterapia, e solo il mio fisico mi ha permesso di reggere - ricorda - gli effetti collaterali erano spaventosi». «Ma il tumore resisteva. Cambiai farmaci, ancora più pesanti. Fu un periodo da incubo: anemia, ricoveri, non riuscivo a mangiare, vomitavo e svenivo tutto il tempo. Alto 1,96, pesavo 68 chili. Temevo di morire per gli effetti collaterali». Fino all'autotrapianto: «Sei giorni di setticemia, febbre oltre 41°. Poi una sera dissi a mio padre che faceva le notti: "papà, sudo". Arrivarono tutti, medici, infermieri, quasi urlando di gioia. Se sudi la febbre scende! Da lì cominciò la mia ripresa. Nei momenti bui mi hanno aiutato la fede e mia figlia. Carolina mi ha tenuto in vita, e se non avessi avuto questa motivazione, sarei morto».
Il resto è storia: Jack che torna a casa, riprende a mangiare con gli omogeneizzati, comincia la riabilitazione. In due mesi sta meglio tanto da allenarsi per superare l'idoneità sportiva. Torna in campo con Trento e vince la finale scudetto. Ha fondato un'associazione che raccoglie fondi per la ricerca su cure nuove. «Forse il senso della mia malattia era questo, farmi venire in mente di fondare l'associazione e fare qualcosa di importante, anche più della pallavolo».