Giovani, lo «sballo» ora si chiama noia

C'è una fascia di età ampia che sta subendo in maniera preoccupante l'epoca storica attuale. Sono i giovani di Pergine tra gli 11 e i 30 anni, vittime di un inedito sociale: la noia di gruppo. Si tratta di ragazzi che stanno studiando o, se hanno terminato le superiori, non trovano lavoro. E per passare il tempo si ritrovano al parco o alla stazione dei treni dove occupano i pomeriggi chiacchierando ma non necessariamente «rovinandosi». Questa è la fotografia che emerge da un anno di mappatura condotta dall'Asif Chimelli e dai due educatori incaricati dalla Comunità di Valle,  Elisabetta Ferrari e Marco Baino I tuoi commenti

Zaini scuola: il peso non deve superare il 10% di quello corporeoPERGINE - C'è una fascia di età ampia che sta subendo in maniera preoccupante l'epoca storica attuale. Sono i giovani tra gli 11 e i 30 anni, vittime di un inedito sociale: la noia di gruppo. Si tratta di ragazzi che stanno studiando o, se hanno terminato le superiori, non trovano lavoro. E per passare il tempo si ritrovano al parco o alla stazione dei treni dove occupano i pomeriggi chiacchierando ma non necessariamente «rovinandosi». Lo sballo di questo periodo, come detto, si chiama infatti noia di gruppo. Che significa? Vuol dire che anziché rinchiudersi in casa a «bighellonare», si preferisce trovarsi su una panchina assieme ad altri che non sanno cosa fare.
Per certi versi, è un salto in avanti rispetto al passato ma, soprattutto, stiamo parlando di ragazzi che non si rifugiano nella droga o nell'alcol ma semplicemente condividono il «dolce far niente» con dei coetaei.

 

Con i dovuti distinguo, questa è la fotografia che emerge da un anno di mappatura condotta dall'Asif Chimelli e dai due educatori incaricati dalla Comunità di Valle,  Elisabetta Ferrari e Marco Baino.

Per un anno hanno contattato circa 400 giovani sia nei luoghi pubblici indicati come a rischio che nella scuola Curie. Il progetto rientra nei piani di «studio» finanziati dalla Comunità Alta Valsugana. «Ma si tratta prevalentemente di una mappatura - spiegano  Clara Briani  dell'Asif ed Elisabetta Ferrari - e di uno stimolo per i ragazzi a rendersi parte attiva della società». Il lavoro ha preso le mosse dalla segnalazione di classi problematiche al Curie e di luoghi aperti in cui si concentrano i ragazzi nel pomeriggio. «Attenzione, perché non stiamo parlando di bande ma di gruppi di giovani che si ritrovano principalmente per parlare».

 

La fotografia che esce sui giovani perginesi, come detto di età compresa tra gli 11 e i 30 anni, non è dettagliata ma comunque sufficiente per dire che a Pergine non c'è un vero e proprio disagio ma una percezione di pericolo sentita più che altro dagli adulti. Che, frequentando parchi o altri luoghi aperti al pubblico, si incrociano con i ragazzi fermi a fare niente. Il progetto, in verità, era partito per monitorare la scuola, l'abbandono degli studi, la difficoltà di relazionarsi. «Sono problemi reali ma non riconducibili a situazioni familiari particolari. Si tratta perlopiù di ragazzi che non hanno obiettivi, che sono assorbiti dalla noia. Rispetto al passato, la noia si condivide e non si vive in proprio, chiudendosi in casa. Ci si trova su una panchina e si sta lì, in attesa che qualcosa accada».

 

Ma questi giovani sono apatici o reattivi? «Assolutamente reattivi. Tant'è che si lasciano avvicinare e si lasciano coinvolgere. Purtroppo non hanno lo stimolo per essere attivi, se hanno finito gli studi non trovano lavoro e quindi si incontrano in determinati posti per condividere la noia con altre persone, non necessariamente coetanei». Una volta spinti ad agire, però, si lasciano coinvolgere. «Certo, se intravvedono la possibiltà di portare avanti un progetto ci stanno. Non sono chiusi ma ben aperti, basta solo coinvolgerli». Al progetto - come detto finanziato dalla Comunità di Valle con 56 mila euro - hanno aderito volontariamente tanti ragazzi. Segno che la volontà di diventare parte attiva è forte. Sui luoghi a rischio, segnalati dagli adulti, gli educatori non hanno riscontrato particolari problemi. 

 

«A parte alcune bottiglie rotte, abbiamo solamente registrato che ci sono posti che vengono vissuti come propri. Basta una panchina per segnare il territorio. Ma non c'è conflittualità con gli altri avventori. Si tratta di fatto di trovare un punto di riferimento». I siti del disagio, chiamiamoli così, sono la stazione dei treni, lo skatepark, il parco Giarete, il Tre Castagni. Ma questi punti di ritrovo, sottolinea l'Asif, non riguarda le bande. «Non si tratta di gang come vediamo nei film ma di ragazzi che si trovano qui per parlare». E l'integrazione con gli stranieri? Non esiste ma almeno non c'è conflittualità. «I ragazzi di Pergine tendono a trovarsi tra di loro per ragioni etniche ma c'è rispetto per l'altro, per lo straniero. Il lavoro da fare, adesso, è proprio quello di aprire i gruppi all'altro».

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