La rinascita della piccola Laura: dal coma al ritorno a scuola

di Patrizia Todesco

Il 23 maggio Laura compirà 12 anni. In quell’occasione potrà soffiare le candeline con l’aria dei suoi polmoni, ricevere gli auguri dei suoi cari, leggere i biglietti di auguri, colloquiare amabilmente con le sue amiche, ma anche camminare, ridere, leggere e scherzare. Tutte cose che all’indomani del tragico investimento avvenuto il 20 di novembre del 2013 davanti alla porta di casa, a Campolongo, sull’Altopiano di Piné, sembravano impossibili. In un primo momento pareva che Laura non dovesse arrivare viva all’ospedale Santa Chiara. Troppo forte il trauma subito.

Poi sembrava che potesse non risvegliarsi dal coma. Infine, una volta risvegliata, non era chiaro quali sarebbero state le conseguenze del trauma cranico devastante. Sarebbe riuscita Laura a tornare a camminare, a parlare, a sentire, a muoversi? Oggi, a un anno e mezzo da quel tragico investimento, Laura ha fatto progressi da gigante. Frequenta la prima media, e anche se il percorso che dovrà fare è ancora lungo, ogni giorno per lei è un passo verso la normalità.
Al suo fianco la sua famiglia. Mamma Maurizia in prima linea, e poi papà Luca e i fratellini Matteo e Julius. «Se oggi Laura è qui dobbiamo sicuramente ringraziare i medici e il personale del Santa Chiara. Sono stati tutti fantastici. Dal dottor Massimo Panozzo, responsabile della neurorianimazione, che ha dato il suo ok perché la bambina, anche se in età pediatrica, fosse accolta in reparto al dottor Silvio Sarubbo, neurochirurgo, che l’ha operata evitando che la situazione degenerasse.

E poi tutti gli altri medici, gli infermieri, il personale. Sono stati per noi una seconda famiglia. Eccezionali, fantastici».
Quel giorno di novembre del 2013 fu davvero un giorno tragico per Laura e la famiglia.


La piccola stava attraversando la strada per raggiungere lo scuolabus insieme al fratellino più piccolo, quando è stata falciata da un’auto. «Quando sono corsa da lei - racconta la mamma - aveva sangue che le usciva dalle orecchie, dal naso, dalla bocca. Ovunque. Era lì, immobile a terra. Io ero paralizzata per lo shock. Fortunatamente in quel momento passava casualmente sulla strada il dottor Maurizio Virdia che ha prestato le prime cure. Nel frattempo è arrivato anche l’elicottero. Il medico rianimatore, il dottor Andrea Ventura, l’ha intubata, ma mi ha fatto subito capire che la situazione era grave. Mi ha permesso di salire sul’elicottero ma lì le condizioni di Laura sembravano ancora peggiorare. Mi dissero che la botta era stata troppo grande». Arrivati al Santa Chiara, mamma Maurizia e papà Luca trovarono il dottor Panozzo. «Sua figlia non è grave, è gravissima, mi disse. Io a quel punto non capii più niente. Mi affidai ai medici, sperando che riuscissero a fare il miracolo. Il dottor Sarubbo mi spiegò che era necessario effettuare un intervento, ma che non c’erano garanzie di riuscita».

La piccola presentava infatti un edema cerebrale diffuso dovuto al trauma. Trasferirla in un altro centro, magari più specializzato e con rianimazione pediatrica, sarebbe stato pericoloso per la sua stessa sopravvivenza e così la bambina venne immediatamente portata in sala operatoria e affidata alle mani dei neurochirurghi che effettuarono una emicraniectomia decompressiva. In pratica le venne tolta metà scatola cranica, che è stata poi riposizionata a distanza di alcuni mesi.
«Sono stati giorni difficilissimi - racconta mamma Maurizia che in questo periodo è stata al fianco della figlia in maniera encomiabile -. La dottoressa Monica Salvetta, della rianimazione, si è occupata molto di me, perché in quei giorni si decideva la sopravvivenza della mia bambina. «Tutti sono sempre stati favolosi ma nessuno poteva dirmi: "Ce la farà?". Tutti speravano e io in quei giorni volevo solo stare vicino a lei perché non sapevo per quanto avrei potuto ancora vederla, toccarla, parlarle».

Laura intanto era in coma, sedata dai farmaci. Per 48 ore è stata anche mantenuta ad un temperatura corporea protettiva per il cervello, a 34 gradi, in ipotermia.

«Sono state ore difficili perché non potevo accarezzarla o parlarle in quanto non poteva in alcun modo essere stimolata». Dopo una decina di giorni, con Laura lì, sedata, attaccata alle macchine, ma viva, le speranze di tutti hanno iniziato ad aumentare anche se il problema, a quel punto, era scoprire se e come si sarebbe risvegliata. Nessuno poteva sapere se era mancato ossigeno al cervello o se i danni subiti erano irreversibili. «Hanno iniziato ad abbassare la sedazione e a quel punto, fuori pericolo, Laura è stata trasferita a Ferrara per la riabilitazione. A un mese dall’incidente, eravamo al 16 dicembre, non si muoveva, aveva un unico occhio aperto, non parlava e non si riusciva a comprendere se fosse in grado di capire ciò che accadeva attorno a lei, anche se con quell’occhio riusciva a trasmettermi dei messaggi».

Intanto, sull’Altopiano di Piné, in tantissimi si sono mobilitati. Per aiutare finanziariamente la famiglia, ma soprattutto per far sentire la loro vicinanza a Laura e alla sua mamma. Messaggi, lettere, piccoli regali che ora sono custoditi gelosamente in uno scatolone che Laura aprirà quando e se avrà voglia di fare un tuffo in quei giorni.

«A Ferrara, contro la mia volontà, hanno subito messo la Pec (sonda gastrica per la nutrizione) perché credevano che Laura non sarebbe riuscita ad alimentarsi da sola, non almeno in tempi brevi, e ci hanno parlato di almeno sei mesi di permanenza». Invece la forza di volontà di Laura a quel punto si è fatta sentire. La sua vitalità ha avuto la meglio e i progressi non hanno tardato ad arrivare. «Nei giorni vicino a Natale - ricorda la mamma che per due mesi le è stata al fianco notte e giorno - quando ancora non parlava e sedeva sorretta ad una sedia, le ho dato dei colori chiedendole se voleva disegnare. Lei prese il colore giallo, il suo preferito, e scrisse il suo nome. Lì capii che Laura c’era, che capiva, che avrebbe potuto farcela. Sullo stesso foglio scrisse anche i nomi dei suoi fratelli, il mio e quello del papà».

I progressi a quel punto furono rapidi. La sua prima parola, «mamma», la prima volta in piedi, tante prime volte che mamma Laura ha immortalato in innumerevoli fotografie. «Ha dovuto imparare tutto. A parlare, a riconoscere profumi e rumori, a collegare informazioni, a mangiare e a bere. Fortunatamente, anche quando sembrava che una certa cosa le fosse sconosciuta, poi bastava poco per fargliela tornare alla memoria. Ad un certo punto, appena ha iniziato a parlare, ha chiesto di tornare a casa, a scuola».

Erano passati appena tre mesi dall’incidente. In febbraio Laura è stata nuovamente operata in neurochirurgia per riposizionare la calotta e miracolosamente e gradualmente a fine marzo è tornata a scuola. Prima per un’ora, poi i tempi si sono allungati. Nel frattempo sono proseguite le sedute di fisioterapia e dalla logopedista e a settembre Laura si è seduta sui banchi della prima media. «Certo per Laura, per me e per tutta la famiglia c’è un prima e un dopo incidente - dice la mamma - Ora il cammino sarà ancora lungo, ma il fatto che Laura sia qui, che vada a scuola, che parli e cammini è già un miracolo».

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