Il boss mafioso diventa romanziere a 75 anni con "Vita di un uomo"
Un boss sui generis aveva già dimostrato di esserlo. Considerato il capomafia di Villabate, condannato per essere un mafioso con importanti entrature nel mondo politico, è stato anche uno dei fondatori di Forza Italia in Sicilia, dopo l’apertura del blog a suo nome Nino Mandalà, 75 anni, stupisce ancora e si trasforma in romanziere con «La vita di un uomo» (editore Spazio cultura edizioni, 15 euro, in copertina un dipinto dell’autore fatto dal figlio Emanuele in arte Ema Resart) che dal 30 settembre sarà nelle librerie italiane.
Mandala, cui sono stati inflitti 7 anni e 8 mesi di reclusione per associazione mafiosa, ha scontato la sua pena. Ed è libero.
«La vita di un uomo» è scritto nel risvolto di copertina «è il racconto di un lungo e difficile percorso spirituale e di rinascita di un affiliato di mafia che non nega gli errori commessi e i compromessi accettati e, allo stesso tempo, non "salta il fosso" diventando collaboratore di giustizia, ma attraverso al dura esperienza del carcere e l’empatia con i compagni di pena ritrova i valori della fede, della famiglia, dell’amore, in altre parole della vita».
Scrive di sè Mandalà: «C’è di buono che sono tosto per la mia età e ho come l’impressione che con gli anni guadagni in lucidità e voglia di fare come se fossi stato defraudato di qualcosa e volessi rifarmi. O forse perchè, come tutti, ho sprecato parte della mia vita e, grazie agli episodi drammatici che l’hanno attraversata ho avuto la possibilità di ritrovarmi a rimediare in parte ai miei errori».
Nella prefazione al libro il giornalista Ruggero Farkas racconta come il volume gli sia capitato tra le mani e scrive: «Volevo ricostruire la genesi di alcuni rapporti. Volevo capire come il boss di Villabate avesse conosciuto il presidente del Senato o il vicepresidente della commissione Bilancio della Camera. Volevo capire come fosse stato possibile che il figlio di Mandalà diventasse l’autista del ricercato numero uno in Italia: Bernardo Provenzano».
Il romanzo è preceduto proprio da una lettera dell’autore al figlio Nicola, condannato all’ergastolo, in cui Mandalà cita San Tommaso, Kipling, il filosofo Jean Luc Marion, in cui esprime l’amore che un padre prova per un figlio e indica che «dobbiamo accettare le tragiche limitazioni insite nell’esistenza umana, fare di essa occasioni di crescita e fare di quella crescita lo scopo della nostra vita, sciogliere le briglie della nostra fantasia non per fuggire da circostanze avverse, bensì per piegarle superarle e costruire possibilità concrete... Quel che conta è essere un uomo, figlio mio. Basta che lo vogliamo».