Corridoio umanitario, a Trento 29 siriani fuggiti dalle bombe
Undici adulti e diciotto bambini, quattordici dei quali sotto i sette anni, a caccia di una nuova vita, di una possibilità, di una speranza, anche se forzatamente lontani dalla loro patria, ovvero la Siria distrutta dalle bombe e dalla guerra. Sono arrivati ieri nella tarda serata a Trento, dopo un viaggio durato praticamente un giorno.
Sono partiti in 93, di cui 41 minori: domenica alle 18 sono saliti su un piccolo pulmino a Tel Abbas, un paesino al confine tra Siria e Libano.
Poi, alle 4 del mattino, si sono imbarcati su un aereo a Beirut: tre ore di volo e l’atterraggio a Roma, accolti da abbracci e strette di mano, oltre che dal ministro Paolo Gentiloni («Mi auguro che sia un messaggio contagioso:non muri o steccati, ma corridoi umanitari»). Da lì sette famiglie, ventinove persone, sono salite su un pullman, per arrivare in località San Nicolò, sulla collina ovest, nei pressi di Ravina.
Le altre 64 persone arrivate ieri in Italia saranno ospitate a Reggio Emilia, Torino, Aprilia.
A Trento i 29 siriani sono accolti nella struttura messa a disposizione dell’Arcidiocesi. Il loro viaggio è stato possibile grazie a un corridoio umanitario, la prima vera risposta alla chiusura delle frontiere, grazie all’accordo sottoscritto a metà dicembre dal Governo italiano con la Comunità di Sant’Egidio, la Federazione delle chiese evangeliche in Italia (Fcei) e la Tavola valdese.
In quella che un tempo fu la residenza estiva dell’Arcivescovo, alcuni stabili inutilizzati sono stati ristrutturati e messi a norma a spese dell’Arcidiocesi, ricavandone alloggi autonomi in grado di ospitare le famiglie siriane.
A loro sostegno - come prevedeva un ordine del giorno approvato con maggioranza trasversale dal Consiglio Provinciale lo scorso 18 dicembre, primo firmatario Mattia Civico - interverrà economicamente la Provincia garantendo lo stesso trattamento previsto per i profughi inseriti nel progetto di accoglienza dei richiedenti protezione internazionale.
La maggior parte delle famiglie proviene da Homs, città siriana ormai rasa al suolo: dal 2012 erano sfollati nel campo profughi libanese di Tel Abbas, nella regione dell’Akkar. Proprio in quella tendopoli hanno conosciuto i volontari dei corpi di pace dell’Operazione Colomba promossa dall’Associazione Papa Giovanni XXIII. Tra loro anche i giovani lagarini Giacomo Postinghel e Marta Matassoni.
I profughi ammessi al corridoio umanitario, alternativa allo spettro di un viaggio disperato in mare, sono stati scelti in base a criteri di vulnerabilità (a cominciare dalle loro condizioni di salute: più di un minore da anni non vede un medico) e hanno ottenuto un visto umanitario a territorialità limitata rilasciato dall’ambasciata italiana in Libano. Una procedura che dovrebbe ora velocizzarne il riconoscimento dello status di rifugiati.
A Trento gli ospiti siriani saranno seguiti da operatori e volontari di Fondazione Comunità Solidale, in collaborazione con l’associazione Papa Giovanni XXIII.
Il corridoio aperto dall’Italia prevede l’arrivo di un migliaio di persone in due anni non solo dal Libano, ma anche da Marocco ed Etiopia.