Carcere sovraffollato anche a Trento, pochi agenti e carenza di attività per il reinserimento sociale
«La situazione a Trento è sicuramente migliore rispetto a quella in altri territori nazionali. Ciononostante, ci troviamo a gestire una struttura carceraria con poche risorse, molti detenuti provenienti dall’emarginazione sociale, in particolare modo stranieri extracomunitari, e meno agenti di custodia di quelli che occorrerebbero. Per di più, mancano reti sociali e imprenditoriali in grado di dare spazio a percorsi di reinserimento sociale e professionale, offrendo quindi un’alternativa concreta alla pena detentiva».
Il direttore della casa circondariale di Trento, Valerio Pappalardo, intervenuto nel pomeriggio di ieri nell’ambito di un convegno organizzato dal gruppo locale di Elsa (European law students association) sul tema del carcere come opportunità di responsabilizzazione e recupero dei detenuti, ha tratteggiato un quadro preoccupante della situazione carceraria locale, caratterizzata dal sovraffollamento, da una presenza sottodimensionata di personale carcerario e da una grave carenza di opportunità di reintegro sociale.
A pesare, sarebbe soprattutto la mancanza di una rete sociale forte, capace di assicurare alternative sicure per i detenuti che scontano pene inferiori ai cinque anni (quasi la totalità dei reclusi a Trento).
«Attualmente - spiega il direttore Pappalardo, prima di prendere la parola di fronte ad un’auditorio composto in larga misura da studenti, ricercatori e docenti universitari - il carcere di Trento ospita un numero di detenuti significativamente superiore rispetto a quello contenuto nell’accordo tra Provincia e amministrazione penitenziaria. Si parlava di un tetto massimo di 250 presenze, mentre oggi ne contiamo 350. Appare così difficile garantire la formazione al carcerato, in quanto la taratura dell’organico dell’area educativa è misurata su un tipo di capacità numerica notevolmente inferiore al reale; inoltre, soffriamo di un gap numerico rilevante sotto il profilo della polizia penitenziaria: disponiamo di 133 agenti e ne servirebbero 70 o 80 in più».
A quanto riferitoci, il 64% dei delle persone detenute nella casa circondariale di Trento sono cittadini extracomunitari (perlopiù tunisini e marocchini) condannati per spaccio di sostanze stupefacenti.
«Per queste persone - ha spiegato il direttore - la cui detenzione è ascrivibile a situazioni di emarginazione sociale, le misure detentive rischiano di essere dei veri e propri laboratori di criminalità. Consideriamo infatti che oltre la metà dei detenuti sono recidivi. Più volte ho sollecitato la magistratura di sorveglianza per pene alternative, ma la realtà è che manca una rete sociale in grado di accogliere e promuovere il reinserimento dei detenuti».
In merito, infine, all’ampia distribuzione di farmaci tranquillanti ai detenuti, denunciata nei giorni scorsi dal responsabile dell’assistenza sanitaria in carcere Claudio Ramponi (Apss), il direttore ha parlato di un aumento delle patologie legate alla depressione e all’ansia, riferibili proprio alla carenza di attività formative e professionali.