Venezia, muore una profuga Proteste
È una dolente, continua carovana di ragazzi africani, carichi di borse di nylon e valigie di vita precaria, quella che entra ed esce a ogni momento dal Cpa di Cona, un punto nella piatta campagna veneziana, nell'entroterra all'altezza di Chioggia, dove si è rischiata la rivolta dopo la morte di una giovane migrante: Sandrine Bakayoko, ivoriana di 25 anni, uccisa da una trombosi polmonare.
L'episodio tragico ha fatto deflagare la protesta che da tempo proveniva dagli ospiti, che denunciano il degrado delel condizioni di accoglienza.
L'intervento della polizia, senza l'uso della forza, che ha rimosso lo sbarramento di un centinaio di immigrati che aveva "sequestrato" gli operatori della cooperativa ha riportato la situazione sotto controllo.
Ma non ha placato la rabbia. Anche ieri nessuno ha mangiato nella ex base militare che ospita 1500 profughi.
I connazionali di Sandrine hanno proseguito nel blocco dei pasti, ponendosi davanti ai loro compagni, è così i vassoi con il cibo sono tornati indietro.
"C'è il giusto dolore per la perdita di una connazionale - spiega il questore di Venezia, Angelo Sanna - ma adesso stiamo andando un po' oltre. Abbiamo il risultato dell'autopsia, e dice che è una morte naturale. Credo non ci sia quindi da alzare la voce più di tanto".
C'è stato l'intervento degli agenti "perché non si poteva consentire il blocco del campo all'infinito - aggiunge Sanna - ma non è stato neanche 'alzato', non 'usato' un manganello, e questo era importante. Devo dire che hanno avuto rispetto di chi di fronte a loro vestiva la divisa italiana. Bisogna insistere nel dialogo, perché davanti abbiamo qualcuno che soffre".
La polizia ha anche impedito, per ragioni di sicurezza, l'accesso nel centro dei giornalisti, richeisto dai profughi per documentare le condizioni di disagio che vengono denunciate.
Cona, anzi, Conetta, la minuscola frazione di 190 abitanti che ospita l'ex base militare oggi hub per i migranti, è balzata d'improvviso nei titoli dei tg. Con le camionette delle forze dell'ordine sono arrivate anche le troupe televisive. I pochi residenti fanno capannello sulla strada, alzando i baveri dei giacconi per ripararsi dal vento gelido.
Nel mirino c'è un modello di accoglienza, quello basato su macrostrutture, spesso ex caserme, che riunisce un numero elevato di persone diverse, amplificando le difficoltà già presenti in uan situazione particolarmente complessa come quella dell'attesa per la richiesta di asilo.
Il modello alternativo, fondato su una ospitalità diffusa nei territori, in appartamenti presi in affitto dall'ente pubblico, funziona soltanto nelle zone in cui i Comuni si sono fatti carico di questa scelta di fondo e hanno rifiutato la strategia delle caserme, spesso imposta dalle prefetture.
A monte della crisi dell'accoglienza vi è comunque il rifiuto di molti enti locali di collaborare, il che significa scaricare il problema sugli altri.
"Ma a Cona nessuno viene trattato come una bestia, tutti hanno una sistemazione dignitosa", replica Gaetano Battocchio, il presidente di Edeco, nuovo nome assunto da Ecofficina, la coop, già indagata dalla Procura di Venezia per precedenti iregolarità, che gestisce la struttura.
"Ovvio che non è un paradiso - aggiunge -, un albergo è più confortevole di un campo come quello di Cona ma in questo momento la Prefettura ha individuato la nostra struttura". Non ci sono 'gialli', secondo Battocchio, nella ricostruzione della morte della giovane ivaoriana: "non c'è stato alcun ritardo nell'assistenza - sostiene - il caso è stato gestito da un medico interno al campo, un medico professionista, che ha subito chiamato il 118".
La ragazza è stata trovata priva di sensi dentro un bagno del campo, nel quale si era chiusa a chiave. "La causa della morte - ha chiarito il pm Lucia D'Alessandro - è stata accertata. Si tratta di una trombo-embolia polmonare bilaterale".
Il magistrato ha escluso ogni ipotesi legata a fatti violenti o a malattie virali. Così come pare non avere alcun collegamento con il fatto che circa un mese fa, come ha rivelato il sindaco di Cona, Roberto Panfilio, Sandrine avesse avuto un aborto, per il quale era stata seguita da personale medico. Ma al dolore per la perdita della loro compagna si somma per i migranti di Cona soprattutto la rabbia per le condizioni di vita del campo: "Non c'è rispetto per noi - dice Stephane, un ventenne nigeriano che cammina verso l'ingresso del Cpa - Siamo in troppi la' dentro. La gente non può vivere così. Siamo nelle tende, fa freddo, l'acqua è fredda, e i documenti che aspettiamo non arrivano mai".
Nella serata di ieri arriva la notizia che il Viminale ha disposto per il trasferimento di 100 di loro in altre strutture di accoglienza in Emilia Romagna. Un altro spostamento, in attesa di un futuro migliore.
Fuori, fra i cittadini locali, ci ono sentimenti divergenti. Giordano, un muratore di 54 anni che abita a due passi dal Cpa, osserva sconsolato. "Anche di notte è un via-vai continuo di gente, - racconta - centinaia di migranti che trasportano di tutto, valigie, pacchi, trolley, buttano le lattine vuote per terra. Non possiamo più uscire di casa".
"All'inizio - continua -ne avevano portati solo un gruppo di 49. Siamo 190 in paese, erano già tanti, ma potevamo sopportare, si poteva gestire. Ora sono 1500 e ci è scappato il morto. Chissà cosa potrà succedere ancora...".