Salvataggi in mare: molte Ong contestano il Codice a Roma
Niente sintesi tra la missione del Viminale - ridurre gli sbarchi - e quella delle Ong, cioè salvare vite in mare. Il Codice di condotta proposto dal ministero raccoglie le firme di solo due delle otto organizzazioni umanitarie presenti nel Mediterraneo Centrale: Moas e Save the children. Mentre una terza, la spagnola Proactiva Open Arms, ha comunicato di voler sottoscrivere l'accordo. Chi non ha aderito al documento, minaccia il ministero, si pone «fuori dal sistema organizzato per il salvataggio in mare, con tutte le conseguenze del caso concreto che potranno determinarsi, a partire dalla sicurezza delle imbarcazioni stesse».
Non sono bastate, dunque, tre riunioni al Viminale, presiedute dal prefetto Mario Morcone, per superare l'opposizione ed i dubbi della maggior parte delle organizzazioni che fanno soccorso in mare (circa 10 le navi operative) e che quest'anno, come ha sottolineato il ministro Marco Minniti, sono responsabili di circa il 40% dei quasi 100mila migranti arrivati in Italia.
Gabriele Eminente, direttore generale di Medici senza frontiere, è stato il primo ad uscire e a chiarire il «no» della sua organizzazione, illustrato anche con una lettera inviata a Minniti. Eminente ha riconosciuto «gli sforzi e l'approccio costruttivo del ministero, ma alcune nostre preoccupazioni sono rimaste senza risposte e dunque non ci sono le condizioni per firmare».
Innanzitutto, ha spiegato, il documento «non riafferma con sufficiente chiarezza la priorità del salvataggio in mare e non riconosce il ruolo di supplenza svolto dalle organizzazioni umanitarie». Poi, ha rilevato, «ci sono soprattutto due punti problematici: l'impegno richiesto alle navi di soccorso di concludere la loro operazione provvedendo allo sbarco dei naufraghi nel porto sicuro di destinazione, invece che attraverso il loro trasbordo su altre navi» e «la presenza a bordo di funzionari di polizia armati, che è contraria alla politica "no-weapons" che applichiamo rigorosamente in tutti i nostri progetti nel mondo».
Sulla stessa linea Titus Molkenbur di Jugend Rettet. Il Codice, ha riferito al termine della riunione, «non ci aiuta a fare il nostro lavoro che è quello di salvare vite umane e contrasta con le leggi marittime». Un'altra Ong tedesca, Sea Watch, ha fatto sapere che il Codice è «largamente illegale» e «non salverà vite umane ma avrà l'effetto opposto».
Hanno invece sottoscritto il documento Save the Children e Moas. «Gran parte dei punti - ha osservato Valerio Neri della prima - indicano cose che già facciamo e ci sono stati chiarimenti su un paio di punti che ci preoccupavano, quindi non abbiamo avuto problemi a firmare. Siamo convinti - ha aggiunto - di aver fatto la cosa corretta e mi dispiace che altre Ong non ci abbiano seguito, ma evidentemente avevano altre sensibilità».
Ora si tratta di capire cosa accadrà con l'applicazione del Codice che prevede generiche «misure» da parte delle autorità italiane per chi non aderisce. Al Viminale ritengono di aver fatto «tutto il possibile» per venire incontro alle richieste delle Ong, ma ora chi si è chiamato fuori dovrà sopportarne le «conseguenze». In una prima versione, emendata poi dai tecnici della Commissione Europea, si parlava di possibilità di vietare l'attracco nei porti italiani alle navi umanitarie. Non si arriverà a questo, ma con la partenza della missione navale italiana, ci sarà un nuovo assetto delle unità in mare a ridosso delle acque libiche, dove incrociano i mezzi della Guardia costiera di Tripoli ed imbarcazioni di milizie armate degli stessi trafficanti. Potrebbe dunque essere ora più pericoloso per le navi umanitarie spingersi - come accaduto in passato - nelle acque territoriali del Paese nordafricano.