Mamadou: «Mio figlio Falilou ha bisogno di essere aiutato»
«Ciò che è accaduto mi ha fatto perdere il sonno. Mi sono fatto tante domande durante la notte». Mamadou Seck, il padre di Falilou, il ragazzo arrestato per aver appiccato il fuoco alla porta dei suoi vicini di casa africani, parla con il cuore in mano. «Non è la prima volta che Falilou ha un comportamento del genere. Non è facile per un genitore sapere questo: ci si chiede dove si ha sbagliato, ma trovare una risposta non è facile - spiega - Ho sempre seguito mio figlio. Quando era piccolo e andava a scuola era molto vivace. Ora ci sono altri tipi di problemi e dovrà essere seguito. Non lo lascerò solo».
Mamadou Seck è nato in Senegal: la sua esperienza di immigrazione e di inclusione (è stato il primo consigliere comunale di colore a Trento, dal 2005 al 2010) l’ha voluta condividere con i tre ragazzi africani che ospita nell’appartamento di Lasino, proprio sopra l’abitazione in cui vivono il figlio Falilou e l’ex moglie. «Sono come i miei figli. Non abbandono Falilou, ma non lascio soli neppure loro», spiega.
Tra il ragazzo, 26 anni, ed i tre inquilini (due quelli presenti in casa la notte in cui c’è stato l’incendio) c’era un rapporto di amicizia, non immune da incomprensioni. Nella notte tra giovedì e venerdì i ragazzi erano venuti alle mani: Falilou era tornato nella propria abitazione con il naso sanguinante, per poi vendicarsi dando fuoco alla porta dell’appartamento dei vicini. La matrice razzista del gesto, benché ipotizzata da qualcuno, era subito sfumata: Falilou Seck aveva ammesso le proprie responsabilità, e prima dell’arrivo dei vigili del fuoco e dei carabinieri aveva anche tentato di spegnere le fiamme.
«Non ho ancora avuto la possibilità di parlare con Falilou. Per un genitore è un grande dispiacere sapere che il figlio è in carcere - prosegue Mamadou Seck - Ma bisogna anche guardare più lontano e cercare di capire perché sia accaduto ciò. Falilou ha 26 anni, non è grande ma neppure piccolo, bisogna aiutarlo: lo farà uno specialista oppure sarà seguito in una struttura. Il carcere è brutto, vediamo se sarà possibile una soluzione alternativa».
Mamadou Seck ha un pensiero per i ragazzi che vivevano nell’appartamento che ha messo loro a disposizione a Lasino, attraverso il Cinformi e il programma provinciale per l’accoglienza. «Sono senegalese di nascita, italiano di adozione. Mi sono inserito nella società e ho sempre fatto quello che ho ritenuto opportuno, come qualsiasi altra persona. Trovarsi in questa situazione, in tempi in cui c’è il rischio di strumentalizzazione della vicenda, non è bello. Bisogna alzare la testa e guardare avanti. Ma ribadisco che non si tratta di un fatto di razzismo: è stata una bravata da parte di un ragazzo con problemi - spiega Mamadou Seck - Ogni genitore desidera avere un figlio che fa le cose giuste, che rispetta le regole, qui come in Africa. Gli immigrati è giusto che osservino le norme come le ho osservate io e come le osservano gli italiani. Questo cerco di insegnare anche i ragazzi africani che abitavano nell’appartamento di Lasino e che spero possano tornare (sono stati trasferiti in un’altra struttura, ndr). Per me loro sono come figli. Venivano a trovarmi a Padergnone, a piedi, assieme a mio figlio. Li capisco perché anch’io sono un immigrato. Loro sono partiti dall’Africa e pensano che tutto ciò che vedono in questa società occidentale sia bello e facile da avere. Quando sono arrivati a Lasino ho detto loro di cercare di avere rapporti con le persone, di relazionarsi con gli altri»
In merito all’episodio di giovedì notte Seck aggiunge: «Mi hanno detto che mio figlio si è pentito. La casa in cui vivevano i tre ragazzi africani è sistemata: spero di poterli ospitare ancora».