Dal Trentino ad Amatrice il sogno di una nuova vita che il terremoto ha infranto
La speranza, telefonando, era quella di avere delle buone notizie. Speravamo di sentirci dire che stavano rialzando la testa, che passo dopo passo si tornava alla normalità, che si iniziava a vedere la luce in fondo al tunnel. Invece no. Nulla di tutto questo, anzi.
All’altro capo del telefono c’è Mirko Tabarelli de Fatis: trentino, originario di Rallo, ormai quindici anni fa ha aperto con la moglie Susan e la loro figlia Elisa un Bed & breakfast in un casolare poco distante da Amatrice. Da tre anni a questa parte quel lavoro, quel sogno, quella vita sono un lontano ricordo.
«Qui è ancora un disastro. Una cosa da non credere. Noi fortunatamente stiamo bene, ma la situazione è ancora di stallo, è tutto fermo». Quella maledetta notte ha cambiato la vita di questa bella famiglia: a sentire la scossa e lanciare l’allarme in casa era stata la moglie, che era sveglia e stava bevendo un bicchiere d’acqua. Subito ha svegliato il marito e la figlia e sono usciti all’esterno.
«Lo spavento è stato grande. Poi all’alba abbiamo constatato i danni che avevamo avuto e abbiamo scoperto che il nostro paese non esisteva più. Abbiamo trascorso il primo anno tra roulotte e container, e poi nei moduli d’emergenza. Vivevamo sotto al B&B, che era uno splendido casolare: pochi minuti ed è diventato un rudere. Abbiamo deciso di provare a ricostruirlo e riprendere l’attività, ma non nella stessa zona. Però è tutto fermo, è difficile capire a chi dobbiamo rivolgerci anche per i permessi basilari: abbiamo presentato un progetto due anni fa, ma non è successo nulla, tutto bloccato. Ci sono ancora problemi di vita quotidiana, dalla luce che non c’è alle fogne che non funzionano a dovere, ma anche le strade con le buche, e quindi si fatica a muoversi, i professori arrivano in ritardo. Mi dispiace doverlo dire, ma a tre anni di distanza non si vede ancora la luce in fondo al tunnel».
La scuola, in sostanza, è una delle poche cose che Amatrice ha ancora. Poi i ristoranti e i negozi, mentre l’ospedale non esiste.
«La gente del posto è orgogliosa e testarda, in pochi se ne sono andati. In tal senso è stata fondamentale la presenza della scuola, perché i figli sono la priorità per tutti. Ma adesso bisogna guardare in faccia la realtà: gli anni passano, il turismo non c’è, anche i ristoranti e in negozi hanno pochi clienti».
Nel nero un po’ di colore l’ha portato il Trentino.
«Quella della scuola è stata una grande cosa. Un gesto stupendo del quale andare orgogliosi, anche perché senza l’aiuto del Trentino nella costruzione della scuola in tempi record tutti se ne sarebbero andati per sempre.
Anche nostra figlia era felicissima di tornare a scuola dopo il terremoto, per rivedere gli amici e riprendere a fare una vita normale. Allora aveva tredici anni, oggi è cresciuta, ma anche per lei il ricordo di quei giorni è un incubo. Io tornerò verso metà agosto nella nostra splendida provincia: ho la sorella a Cles e altri parenti, saranno giorni di relax lontani dalla distruzione e della macerie che qui vediamo tutti i giorni, da tre anni».
Ecco il bel casale reso inagibile dal terremoto